Spacca partiti e coalizioni la questione russo-ucraina. Spacca il Pd e spacca l’opposizione, ma effetto identico ha sulla coalizione di governo, dove le tre forze che la compongono hanno tre posizioni differenti. Per Giorgia Meloni una prova di maturità, tanto sul piano interno, quanto e soprattutto su quello internazionale. Le comunicazioni al Parlamento (stamattina al Senato, domani alla Camera) in vista del vertice europeo di giovedì sono quindi una prova di maturità tutt’altro che trascurabile per la premier.
Ci sono scelte di fondo che vanno compiute ed enunciate, uscendo da una fase che è stata criticata per un eccesso di tatticismo. La prima scelta si presenta relativamente semplice: fra Trump e Putin, Meloni non può che stare con il tycoon tornato alla Casa Bianca. E questo continua a differenziarla dal grosso dei Paesi europei.
Ci sono in questo elementi che aiutano, oggettivamente, come il no pronunciato dal Cremlino a una presenza militare di Paesi NATO sulla linea dell’auspicabile cessate il fuoco. Oggettivamente in questo modo viene levata all’Italia una bella castagna dal fuoco, e la linea della prudenza consente di distinguersi agevolmente dal tentativo di creare una forza di interposizione che Starmer e Macron stanno mettendo in atto.
Ma i problemi non finiscono qui. Meloni ha davanti un altro dilemma, sicuramente più complesso. Quello del piano di riarmo europeo lanciato da Ursula Von der Leyen, che sarà il fulcro del vertice europeo. Si vocifera che i 27 discuteranno di come mettere in movimento i risparmi privati custoditi nelle banche europee. E non sarebbe una scelta politicamente indolore. Del resto, la questione di dove trovare i soldi – quegli 800 miliardi che coincidono con quelli preventivati da Draghi nel settembre 2024 per ridare competitività all’Europa – è fondamentale.
La premier deve scegliere se stare con il suo ministro dell’Economia oppure no. Giorgetti è stato chiaro: a regole europee invariate non ci sono margini per Rearm Europe. Ed è difficile capire perché le regole debbano essere riviste con precipitosa fretta proprio adesso. In realtà il perché ce lo spiegano a Berlino, dove il parlamento tedesco sta lavorando ad una rapida modifica costituzionale del freno al debito. Il piano di riarmo, infatti, è un enorme regalo all’industria tedesca, cui viene offerta un ampio spazio per la riconversione, dopo la botta tremenda provocata dall’auto elettrica.
Visto così il problema per Meloni diventa più semplice, perché frenare sugli 800 miliardi di euro previsti per il piano di difesa europea assume un senso aderente agli interessi dell’industria italiana, mantenendo per di più una sintonia con Trump, tutt’altro che convinto che l’attivismo di Starmer e di Bruxelles siano la cosa giusta.
Per di più diversi sondaggi indicano come l’opinione pubblica italiana non sia affatto convinta delle ragioni dei riarmo del Vecchio continente. Per Euromedia è contrario un italiano su due (il 49,9%), con punte del 70% fra gli elettori della Lega. Per Ipsos il dato è al 39% (28% i favorevoli), ma solo perché nel computo si considerano circa il 30% fra chi non si pronuncia e chi si dice non informato. Tutto questo prima che si abbia consapevolezza che il piano potrebbe essere finanziato con i risparmi dei cittadini europei.
La mozione di maggioranza, cui si è lavorato febbrilmente alla vigilia di questo passaggio parlamentare, sarà ancora una volta un esercizio di prudenza. Di sicuro Meloni non intende lasciare a Salvini la bandiera dell’opposizione all’uso dei soldi dei contribuenti italiani. Lecito attendersi che la premier ribadisca allo stesso tempo il sostegno a Kiev e all’azione diplomatica di Trump, con più di una riserva sull’idea dell’Alto commissario UE per la politica estera, Kaja Kallas, di altri 40 miliardi di euro dall’Unione per il sostegno militare alle forze armate ucraine. E niente truppe italiane sul terreno, a meno che a chiederlo siano le Nazioni Unite.
Se basterà a tenere unita la maggioranza e a non metterla in difficoltà nelle sedi internazionali ed europee non è facile da dire alla vigilia, ma una posizione meno prudente costituirebbe un rischio enorme, nel momento in cui non c’è ancora l’annuncio di una tregua fra Russia e Ucraina. Per gli aggiustamenti di linea c’è tempo. Ma senza svendere gli interessi italiani.
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