Sembra un film già visto, ma non crediamo sia per il fatto che la trama sia già conosciuta che quasi tutti fanno finta di non volerlo vedere. Come era già accaduto, almeno in parte, col precedente esecutivo giallo-verde e ancor prima con il governo Prodi, per citare solo i casi più recenti, anche il Conte bis ha vacillato fino a crollare non appena il capitolo giustizia si è palesato nell’agenda dei lavori parlamentari. Eppure, solo pochi giorni prima, il premier aveva superato, sebbene non proprio brillantemente, il doppio passaggio parlamentare. Sebbene, in primo piano emerga la motivazione del mancato reperimento di un sufficiente numero di “responsabili costruttori”, tuttavia, siamo certi che senza il passaggio legato all’approvazione della relazione del ministro della Giustizia, la crisi vera e propria non si sarebbe materializzata.



Per quanto la maledetta pandemia abbia travolto tutto, costringendo i governanti di tutto il mondo a declinare l’agenda politica in un modo tutto nuovo e sconosciuto, l’elevata criticità, o meglio ancora la divisività del tema giustizia è nel nostro Paese inesorabilmente riesploso. Di ciò sembra che in tanti facciano finta di non accorgersene. Forse perché fa più comodo addossare al solo (e indubbiamente dissennato) Renzi la colpa di tutto ciò.



Eppure, nell’estate del 2019 Matteo Salvini decise di rompere l’alleanza con i Cinquestelle, al netto dell’assunzione dei troppi cocktail da spiaggia, anche per scongiurare la giustamente vituperata riforma sulla prescrizione che ne contemplava il blocco dopo il primo grado di giudizio. Contenuta poi nel famigerato Ddl “Spazzacorrotti”, la legge è poi malauguratamente entrata in vigore nel gennaio del 2020 con il sostegno dei nuovi componenti piddini del governo, ma ha da subito animato feroci guerre intestine. Secondo molti osservatori, d’altronde, Renzi avrebbe voluto fare cadere il governo già nell’inverno scorso proprio per boicottare la riforma di Bonafede, facendo più volte convergere i suoi voti con quelli del centrodestra in commissione Giustizia.



Di diversa natura la dinamica che portò alla caduta del secondo governo Prodi in cui una maldestra inchiesta giudiziaria (manco a dirla finita con un buco nell’acqua) portò alle dimissioni il ministro della Giustizia che pure stava per portare in Parlamento una legge delega sulla riforma organica del processo penale che già palesava crepe e latenti imperfezioni.

Inutile poi ripercorrere il complicato rapporto dei governi Berlusconi con la giustizia.

Per tornare ai giorni nostri, alle soglie dell’esplosione della pandemia, in un clima non certo sereno per la tensione comunque generata dalla riforma della prescrizione, di cui tanto ci siamo occupati in queste pagine, dopo una serie di lunghissimi vertici notturni, la maggioranza aveva trovato la quadra con il cosiddetto “lodo Conte“: una mediazione, tanto al ribasso quanto cervellotica, che inseriva due meccanismi diversi della prescrizione a seconda che gli imputati siano stati condannati o assolti alla fine del processo di primo grado.

Plastico esempio delle difficoltà del governo, era chiaro a tutti come quella stropicciata bandiera grillina legata al qualunquismo giustizialista e combattuta tanto dall’accademia, quanto dalla magistratura che dall’avvocatura, doveva necessariamente continuare a essere issata al pennone più alto dell’esecutivo per garantire la sopravvivenza del Conte bis.

Ma non solo gli amori fanno giri strani e poi ritornano. Quella norma, infatti, arrivata insieme a tutta la riforma del processo penale sul tavolo della commissione Giustizia nell’agosto scorso, a dicembre avrebbe dovuto essere portata in aula, ma i renziani, spalleggiati dall’opposizione, avevano chiesto più tempo: il nuovo termine, quando si dice il destino, è stato fissato per il primo giorno di febbraio. Così, sette giorni dopo aver incassato la fiducia alle Camere, la maggioranza si è ritrovata a dover affrontare lo stesso scoglio, lo scoglio di sempre, la questione giustizia.
A ciò si aggiunga che come ogni anno il guardasigilli avrebbe dovuto in questa settimana comunicare alle Camere quanto fatto nel 2020, discettando quindi sulla riforma sul processo penale, quella della prescrizione col “lodo Conte” e quella su Csm: tutte leggi attualmente e tristemente bloccate in commissione.

Lo scoglio è parso davvero insormontabile. Inevitabile allora sorge il timore che tanto l’eventuale Conte ter quanto il Pinco Pallo I si troverà sempre e ancora una volta ad affrontare quello scoglio che la politica non pare in grado di affrontare. Il sistema penale, oltre che quello del civile, continua tristemente a non funzionare, il rapporto politica e giustizia raschia il fondo del barile e il vaccino per la giustizia è sempre più una chimera. La giustizia resta un tema che divide e che mette in crisi, per un verso o per l’altro quasi tutti i governi che sono costretti a farci i conti. Continua tuttavia a mancare una visione d’insieme, una vera progettualità capace di superare i veri nodi che da troppo tempo non fanno che aggrovigliarsi sempre di più.

L’attuale versione del Recovery plan stanzia quasi 3 miliardi di euro proprio per la giustizia. Soldi che serviranno soprattutto – 2,3 miliardi – per assumere magistrati, cancellieri, dipendenti che fanno parte del personale tecnico. Ben vengano i rinforzi, ma aumentare le truppe in campo senza una adeguata strategia non è mai garanzia di vittoria. Conte o Pinco Pallo dovranno dare risposte di altro genere, ragionando di sistema, di ampia progettualità, come andiamo ripetendo da sempre. Le bandiere, sgualcite o meno che siano, dovranno cedere alla riflessione e gli slogan al ragionamento.

Forse è il caso, ad esempio, di accantonare anche la propaganda. Leggere, come ci è capitato ieri, che le 16mila persone che sarebbero assunte con i soldi del Recovery avranno come obiettivo quello di eliminare l’arretrato che grava sui giudici, velocizzando i processi sicché il governo è caduto per impedire che quei miliardi in arrivo possano garantire le riforme per punire chi vuole appropriarsene indebitamente non è francamente accentabile e di certo non aiuta ad affrontare le questioni in modo costruttivo. Occorre che tutti provino a fare un balzo in avanti verso un obiettivo comune, con serietà e onestà intellettuale.