Tra Rignano sull’Arno e Radicofani passano ben 127 chilometri, ma a Matteo Renzi questa distanza dev’essere apparsa assai più breve, tanto facilmente si è calato nelle vesti di quel Ghino Di Tacco cui volle ispirarsi per parecchi anni Bettino Craxi, allora geniale e potente segretario di una forza come il Psi, che sotto la sua guida salì dal 12 al 15% circa del consenso elettorale nazionale, mai oltre, eppure divenne strategico per gli equilibri di governo del Paese portando il suo leader a Palazzo Chigi per una breve ma fortunata stagione di potere.
È roba che non interesserà né ai grillini né tantomeno alle sardine – insetti, pesci e dunque esseri dagli interessi limitati – ma il sistema proporzionale al quale l’Italia è tornata, con voluttuoso desiderio di disastro – o forse anche no, visti i disastri del maggioritario! – è fatto apposta per dare potere anche ai partitini.
Così come la posizione geografica della Rocca di Radicofani dava potere alla masnada di quel signorotto bandito, Ghino Di Tacco appunto, per perpetrare efficaci scorrerie banditesche a valle e poi rifugiarsi di nuovo sull’inespugnabile colle. E per questo, col nome di Ghino Di Tacco Craxi firmava i suoi articoli sull’Avanti, dopo che l’allora potentissimo direttore di Repubblica Eugenio Scalfari aveva appunto accostato il segretario del psi al bandito per la spregiudicatezza negli assalti e nelle imboscate. Predatorie quelle del signorotto, politiche quelle craxiane.
Tornando all’oggi, e all’odierno nipote di Ghino, Matteo Renzi, sarebbe un errore sottovalutarne la strategia. L’Antipatico Fiorentino non ha ceduto sulla prescrizione di Bonafediana e Davighiana marca: al contrario, ha ottenuto un rinvio delle norme che – se approvate – l’avrebbero dovuta rendere meno indigesta non solo al popolo ma soprattutto alla Corte Costituzionale, e cioè quella riforma della procedura penale cui dovrebbe toccare il compito di mettere il pepe sulla coda della magistratura e farla finalmente lavorare in fretta: figuriamoci. È stata rinviata e chissà mai quando vedrà la luce, dando così modo a Renzi e a tutti i tanti altri (sacrosanti) contestatori della riforma, di additarne e deprecarne gli effetti manettari e iniqui.
Ma soprattuto Renzi ha dimostrato di poter far ballare la maggioranza di governo come un orso al circo soltanto starnutendo.
Dunque non è vero che Renzi abbia spergiurato sulla sua determinazione a far cadere il governo: ha opportunamente rinviato il colpo del ko, che per ora i numeri mettono nelle sue mani, e per due ragioni. Una pratica, l’altra programmatica, entrambe di potere, perché per capire Renzi basta parafrasare il motto di Falcone sulla mafia: “Follow the money”, diceva quel grandissimo magistrato, “follow the power”, si può dire di Renzi. Per il potere farebbe di tutto. E la prossima scadenza alla quale guarda da sempre è quella delle nomine pubbliche: ne vuole condizionare quante più possibili. E ci riuscirà, minacciando la crisi. Ed è la ragione pratica. Quella programmatica è semplice: il tempo lavora per lui.
Come potrà uscirne, Giuseppe Conte, ovvero l’unico leader che milita oggi nella maggioranza, stante l’afasia del buon Zingaretti, l’inesistenza dei Cinquestelle e l’inconsistenza di Leu? Potrà forse uscirne riuscendo a compiere quel che sta tentando di fare, cioè mettere insieme la pattuglia di “responsabili” che, nelle due Camere, dovrebbe accettare di controbilanciare il manipolo renziano, e renderne ininfluente l’eventuale defezione dalla maggioranza?
Improbabile: e anche qui la memoria torna a soccorrere. Quant’è lontana Radicofani da Barcellona Pozzo di Gotto? Ben più che Rignano sull’Arno: dista 1060 chilometri! Eppure è a Barcellona Pozzo di Gotto che metaforicamente guarda Conte, perché è in questo paesino del Messinese che nel 2010 Silvio Berlusconi scovò Domenico Scilipoti, deputato dipietriano dell’Italia dei Valori, e lo convinse – certamente con la forza del suo pensiero, e null’altro – a passare armi e bagagli nelle file della maggioranza forzista, ovvero del partito politico contro il quale l’Italia dei Valori era stata costituita dal suo fondatore Antonio Di Pietro. Con il primo esperimento di “responsabili in maggioranza” – oltre a Scilipoti e successivamente a lui un altro figuro da cabaret, Antonio Razzi – si aprì una stagione tragicomica della politica nazionale… che non poteva produrre né difatti produsse nulla di buono, nulla di serio. È a questo che si prepara Conte? E questo che spera di far varare dal Quirinale? Non ci si può credere.
In realtà anche Conte, come del resto Renzi, fa conti a medio termine sulle possibili evoluzioni del mercato del consenso, orfano sia di un grande leader di centrodestra com’è stato – piaccia o meno – Berlusconi, oggi oppresso dal suo cerchio magico e dai suoi 83 anni; sia di un grande leader di centrosinistra, per trovare l’ultimo dei quali bisogna fare un balzo indietro di vent’anni e ritrovarsi nei guai, ai piedi di Massimo D’Alema. E orfano anche del Comico Matto, quel profeta del nulla che è stato Beppe Grillo, sempre più torvo nelle sue invettive inconsistenti, che nulla potevano portare di concreto al Paese e nulla hanno portato, salvo una schiera di persone al potere, mediamente perbene e mediamente del tutto ignoranti, nel senso che proprio ignorano ciò di cui parlano.
Che una risposta siano le sardine? Non scherziamo. Certo, c’è Salvini: il grande Babau contro il quale dicono di essersi compattati piddini e grillini, essendosi invece cementati insieme col collante delle poltrone da salvare. Ma Salvini, se continua così, lungi dall’avvicinarsi a quella mitica soglia del 40% che Renzi oggettivamente – e sia pure alle inutili elezioni europee – conseguì, rischierà di scendere sotto il 30%: se non si deciderà a scegliere se stare nell’euro come lascia che Giorgetti predichi, o uscirne come permette a Borghi e Bagnai di blaterare; e se stare al Nord, come invocano Zaia e Fontana, o lisciare il pelo del peggior clientelismo meridionale, come rivendica da Catanzaro Jole Santelli.
Conte invece sta dimostrandosi un purissimo erede della migliore tradizione democristiana, mediatore instancabile, gommosamente elastico ad ogni provocazione, attento al mondo cattolico – credente anch’egli com’è – educato, internazionale: personalmente integro. Non ha carisma, ma sta acquistando credibilità. E difficilmente potrà accettare di essere ricandidato dai grillini, cui pure è l’ultimo se non l’unico oggi a dare un po’ di credito, comportandosi bene come fa. Nemmeno lui, come Renzi, potrà sperare di raccogliere numeri iperbolici al prossimo giro elettorale, quando chiaramente correrà in proprio. Ma anche lui, come Renzi, potrebbe mietere consensi sufficienti a diventare un elemento indispensabile per una maggioranza di governo nel nuovo, futuro, parlamento neo-proporzionale.
Insomma, come diceva la nonna: “Quando mancano i cavalli, trottano gli asini”. E in fondo Renzi è tutt’altro che asino. È un cavallo azzoppato, ma sempre cavallo è. E certamente non è asino nemmeno Conte. Inesperto, ma cavallo di razza. E impara in fretta: del resto, il potere logora chi non l’ha.
E dunque saranno loro i duellanti del potere nei prossimi mesi, ma non a lungo fuori dalle urne: più presto che tardi, alle urne. Ispirandosi entrambi fervidamente a Ghino Di Tacco.