La decisione del primo Consiglio dei ministri del Conte-2 di impugnare una legge regionale della Regione Friuli-Venezia Giulia ha fatto titolo anzitutto per il merito: l’abolizione dei fondi per l’accoglienza dei migranti, il ri-stanziamento di fondi per il rimpatrio dei clandestini espulsi e soprattutto la previsione di incentivi per le imprese che assumono residenti in Regione da almeno 5 anni. Ha spiccato poi certamente uno stretto profilo geopolitico: l’iniziativa, a poche ore dal giuramento, è stata del neo-ministro per gli Affari regionali Francesco Boccia, esponente del Pd al Sud, contro un atto recente di un’amministrazione leghista del Nord, ancora fresca di successo elettorale. Ed è la mossa di un governo centrale verso una Regione a statuto speciale, allorquando la mancata attuazione dell’autonomia rafforzata a Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna è stata una delle cause reali della rottura della maggioranza gialloverde. La sortita di Boccia, in ogni caso, sembra meritevole di un’ulteriore riflessione squisitamente istituzionale.



Il passo è infatti maturato prima del voto di fiducia delle Camere al nuovo esecutivo (che ha assunto nel contempo un’altra decisione di estremo impegno: l’esercizio del cosiddetto golden power per l’utilizzo delle tecnologie 5G da parte dei grandi operatori globali in Italia). Può sembrare una sottigliezza da costituzionalisti, ma va ad aggiungersi ad altre forzature che sembra almeno lecito rilevare nel parto laborioso del Conte-2. La più visibile è forse avvenuta venerdì scorso, quando il premier incaricato Conte – impegnato a tempo pieno nelle consultazioni finali con le forze politiche italiane – le ha interrotte per recarsi in Vaticano: ufficialmente in forma privata, per le esequie del cardinale Achille Silvestrini. Ma lì – formalmente in uno Stato estero – le cronache hanno riferito di un colloquio riservato con il sovrano di quello Stato, Papa Francesco. Qualcosa di oggettivamente diverso dallo scattare a Palazzo Chigi – durante una crisi di governo – una foto cerimoniale con un capo di Stato estero di passaggio a Roma per una visita istituzionale programmata da tempo.



Dopo essersi dimesso da premier, del resto, Conte ha partecipato con “pieni poteri” – ben oltre il “disbrigo degli affari correnti” – al G7 di Biarritz. In quella sede – secondo indiscrezioni di fatto mai smentite – avrebbe appoggiato la richiesta iniziale del presidente americano Donald Trump di riammettere la Russia di Vladimir Putin al Gruppo dei Grandi, fermamente respinta da Francia e Germania.

Al netto delle implicazioni sostanziali di politica interna (Matteo Salvini è da mesi sotto pesante attacco per il “caso Metropol”), sarebbe stata quella mossa discutibile a guadagnare al premier appena reincaricato l’anomalo tweet-endorsement di Trump. Conte – premier non eletto e dimissionario – era legittimato ad assumere posizioni sensibili al G7 a nome dell’Italia? Non godeva neppure dello status sostanziale dell’ex vicepremier e neo-ministro degli Esteri, Luigi Di Maio: leader parlamentare del primo partito nazionale, forte del 32 per cento al voto 2018. È un questione de minimis per costituzionalisti togati e non? 



Non è certo l’unica vicenda aperta sul piano della “costituzione materiale”. Ad esempio: è certamente legittimo indagare su querela per diffamazione un ex vicepremier (la Francia sta indagando l’ex presidente Sarkozy sospettato di aver scatenato la guerra di Libia nel 2011 per eliminare Gheddafi, suo presunto finanziatore elettorale). Ma perché la stessa magistratura italiana ha consentito l’immediato e libero rimpatrio della querelante, pure sotto indagine? Carola Rackete ha violato ripetutamente le direttive del governo italiano, ha twittato più volte di non riconoscere l’autorità del ministro dell’Interno, non ha rispettato l’alt ai confini territoriali, ha speronato un mezzo militare italiano in un porto italiano. Ora la “capitana” sta continuando la sua crociata contro “l’Italia di Salvini” in forma di show-business presso i media tedeschi. I due giovani americani indagati per l’assassinio del carabiniere Cerciello, nel frattempo, sono ancora in custodia cautelare. A Lampedusa, d’altronde, solo un caso fortunato ha voluto che non vi fossero morti o feriti sulla motovedetta della Guardia di Finanza che stava eseguendo ordini (legittimi) del proprio governo.

Sembrano moltiplicarsi, in ogni caso, i segnali macro e micro di una involuzione illiberale nella vita democratica in Italia e nella Ue, in un più generale declino dello stato di diritto. Sulla tendenza ha acceso fari tempestivi Carlo Invernizzi Accetti, politologo della City University of New York, in un intervento pubblicato con evidenza dal Financial Times (peraltro caduto ormai in disgrazia presso i media italiani). “In Italia un nuovo esperimento di tecnocrazia populista” è il titolo, che incorpora già una previsione-commento: “La coalizione Pd-M5s non riuscirà a realizzare quella politica tradizionale di cui il Paese ha bisogno”.

Secondo l’analista “Il nuovo esperimento politico italiano rappresenta una sintesi delle due forze principali che hanno definito la politica europea nell’ultimo decennio: tecnocrazia e populismo”. E per Invernizzi Accetti non è paradossale l’incontro fra due forze politiche apparentemente antitetiche, a loro volta protagoniste – nell’operazione Conte-2 – di singole capriole.

Beppe Grillo, guru del movimento anti-casta per eccellenza in Europa, è stato negli ultimi giorni il grande persuasore della svolta “responsabile” del suo partito di adepti, giungendo addirittura a sollecitare una larga chiamata di tecnici nell’esecutivo. Il Pd – dal canto suo – “resta il partito storico della stabilità istituzionale. È stato sostenuto dal potere giudiziario nazionale nella sua lotta contro l’allora primo ministro Silvio Berlusconi (sic) ed è stato fra i principali sostenitori del governo tecnocratico di Mario Monti dopo la crisi economica del 2011Tuttavia è oggi il Pd a chiedere a gran voce un’inversione a U nel governo del paese, tanto da etichettare il Conte-2 come “governo della novità”. All’occhio del politologo, comunque, tutto sembra quadrare.

“In un sistema in cui populismo e tecnocrazia sono le uniche opzioni dell’offerta politica, ogni governo finisce per presentare se stesso come la via di salvezza alla catastrofe, poiché ci può essere solo errore o malafede in chi si oppone tanto alla “autentica volontà del popolo” brandita dai leader-demagoghi, quanto all’”unica soluzione politica praticabile” immancabilmente imposta dalla tecnocrazia.

E il Conte-2 sembra essere una conferma definitiva che i due approcci sono molto più due metà complementari che due opposti inconciliabili. Entrambi, in realtà, si radicano in un profondo disagio anti-politico; entrambi prosperano su una sola presunta “verità”: la politica parlamentare è un impiccio e chi si oppone – tanto al populismo che alla tecnocrazia – è un nemico. E non necessariamente “un po’ più di tecno-populismo implica un po’ meno di populismo nazionalista”. in Italia quindi sbaglia chi vede il tecno-populismo antipolitico come antidoto alla presunta minaccia illiberale di Salvini. Servirebbe invece, “proprio ora”, un ricostituente di “politica parlamentare tradizionale, estraendo progetto politici positivi da piattaforme ideologiche in competizione”.