Prima ancora di nascere, il Governo giallo-rosso ha mostrato che, comunque vada a finire, è incapace di risolvere il problema di fondo che ha messo in crisi il patto giallo-verde: cioè la miscela micidiale fatta di incoerenza e incapacità di governare. La hybris lo ha rovinato, tuttavia Matteo Salvini ha sollevato una questione vera che si ripropone adesso in termini addirittura peggiori e più confusi. Il documento presentato da Luigi Di Maio in zona Cesarini è la dimostrazione lampante che il fronte del No non è sconfitto all’interno del Movimento 5 Stelle, anzi è destinato ad allargarsi perché tanti No attraversano un Partito democratico sull’orlo di una crisi di nervi, mentre a essi si aggiungono i No dell’opposizione, di quella “ferma, ma responsabile” di Forza Italia, di quella barricadera della Lega pronta a infiammare le piazze o persino fare la “rivoluzione”, parola fino a ieri improbabile in bocca a un conservatore come Luca Zaia. I nemici di questo Governo, dunque, non sono fuori di esso, né al di là dei confini, ma al suo interno.



L’ostacolo questa volta non è l’Unione europea che si sta muovendo, come sembra, verso l’era della flessibilità e il primato della politica. La prima uscita di Christine Lagarde parla chiaro e fa da sponda alle indiscrezioni a proposito della linea di Ursula von der Leyen e del dibattito aperto per allentare il patto di stabilità. I tedeschi avviati come sono a una fase di stagnazione, alzeranno la bandiera delle regole rigide e intoccabili, ma in questo momento non potranno che abbozzare. Ciò significa che la Legge di bilancio italiana, per quanto difficile, non sarà un ostacolo insormontabile. Si può fare senza squilli e senza lacrime (per non parlar del sangue). Naturalmente ci vuole competenza, capacità di manovra, abilità diplomatica.



Non lo sarà, checché se ne dica, nemmeno l’immigrazione se resterà una crisi endemica e non più un’emergenza. Aiuterà anche l’arrivo della bassa stagione. Su questo punto rimangono divisioni profonde all’interno della nuova coalizione, impostazioni inconciliabili in termini generali, ma un’accorta e realistica gestione, alla Minniti per intenderci, potrebbe far trovare una mediazione momentanea, a meno che non scoppi qualche altra crisi geopolitica.

La vera trappola è la lunga marcia dell’esercito dei no. Come per il Governo giallo-verde e anche peggio. Si vedono già le prime avvisaglie ad Acerra, dove la protesta contro i quattro siti di stoccaggio per affrontare i prossimi mesi in cui il temovalorizzatore sarà chiuso per manutenzione, accomunano FdI, Lega, Fi, M5s, verdi, un bel pezzo del Pd, quello non istituzionale. Una, dieci, cento Acerra dal sud al nord, da Taranto alla val d’Ossola, metteranno il Governo sotto pressione continua.



Il documento presentato da Di Maio che riassume le posizioni dei grillini “di lotta e di governo”, mostra altrettante mine sul cammino della spinosa e precaria alleanza. Le infrastrutture, le autostrade, l’Ilva, il mercato del lavoro, il salario minimo, l’estensione del reddito di cittadinanza, insomma un lungo elenco di testarde impuntature che non sono solo le bizze di un capo che non vuole essere declassato. Esse esprimono, infatti, l’essenza del movimento. E che dire del Pd? Intanto è spaccato al suo interno e poi è pressato da Maurizio Landini, il capo della Cgil grande sponsor da sinistra del patto giallo-rosso che vorrà incassare l’evidente mercede politica. Lo stesso Zingaretti quando promette di “smontare” quel che ha fatto il Governo precedente non ha solo in mente le misure più apertamente leghiste introdotte dai giallo-verdi (come quelle sulla sicurezza), ma anche i provvedimenti liberalizzatori contro i quali si sono scagliati i nemici di Matteo Renzi fuori e forse ancor più dentro il Pd: si pensi al Jobs Act e all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.

Nel frattempo, le truppe del no si stanno organizzando anche in Parlamento. Qui ben undici commissioni sono guidate dai leghisti i quali ovviamente non le cederanno (e ciò è assolutamente corretto in punta di diritto), anzi si preparano a una guerriglia legge per legge, decreto per decreto. Non potendo fare come Boris Johnson e chiudere le camere, come si difenderà Giuseppe Conte? Sarà costretto a ricorrere ai voti di fiducia, rischiando di cadere in trappole micidiali. La sua maggioranza non è molto ampia al Senato (non più di nove voti) dove dipende dalle formazioni politiche più piccole, ma soprattutto non è affatto omogenea, al contrario nasce già molteplice e sfilacciata.

Conte ha dimostrato un’indubbia capacità manovriera, ma dovrà diventare un vero timoniere, anzi, un Grande Timoniere. Sarà mai possibile?