Pare che le ultime evoluzioni politiche italiane possano condurre a un cambio di governo e poi aprire le porte a un esecutivo tecnico, a nuove elezioni o entrambe le ipotesi. Siccome siamo già allo “spread che vola”, forse è il caso di mettere un paio di punti fermi. L’unica cosa che interessa ai mercati veramente è se il rapporto tra Italia e istituzioni europee possa diventare più o meno complicato. Abbiamo tutti visto meno di dodici mesi fa l’evoluzione dell’ultima polemica tra Italia ed Europa: due mesi di “spread a 300” e poi tutto ampiamente rientrato nonostante il peggioramento del “quadro internazionale”. L’economia italiana nei suoi fondamentali è ovviamente la stessa di dodici mesi fa e la mitica finanziaria scassaconti del moribondo Governo del cambiamento ha segnato il deficit più basso degli ultimi dieci anni.



Siamo ben consapevoli che l’economia italiana è su un binario morto da almeno venti anni è che è stata messa a dura prova da due recessioni, ma sinceramente vista la cronaca finanziaria globale di questi giorni preoccuparsi del “lungo periodo” è fuori luogo. La scommessa sull’Italia per il momento vive e muore alla luce di due fattori: la tenuta dell’Unione europea e, appunto, lo stato di salute dei rapporti tra Italia e Unione. Fine. L’unica altra questione, forse, può essere la qualità delle amicizie internazionali dell’Italia specialmente con l’America di Trump che sta procedendo a regolare tutti i conti in sospeso.



L’Italia ha bisogno di un governo che possa essere ritenuto prevedibile e affidabile, che non viva in un costante stato di conflitto, ha bisogno che questo esecutivo sia ritenuto nelle condizioni di affrontare i problemi rapidamente e di dare risposte chiare. L’attuale governo ha l’affidabilità per il sistema dell’establishment europeo di avere tre ministri chiave allineati, ma di certo non ha la capacità di affrontare i problemi veri: dalla Libia all’economia. Il massimo della vita è un governo che si svincola il più possibile dal pilota automatico dell’austerità europea, senza rompere, recupera il rapporto con gli Stati Uniti e comincia a mettere le mani nella macchina dell’amministrazione pubblica italiana. Quanto più ci si distanzia da questo ottimo, tanto peggio è.



Oggi si parla di governo tecnico, ma non è palesemente una soluzione. Primo perché sarebbe chiaro che è solo temporaneo, secondo perché inietterebbe dosi da cavallo di volatilità politica, terzo perché non c’è più nessuno tra chi muove i soldi a non aver capito cosa significhi la politica economica europea per l’Italia e per l’Unione. Tra l’altro tutti si ricordano il disastro colossale dell’ultimo governo tecnico perfettamente allineato all’Europa. Ovviamente, ancora oggi, non può esserci un governo tecnico che devii dal pilota automatico dell’Europa e dell’austerity che sono l’opzione di default. Ma è decisamente troppo tardi per questo dopo due recessioni e nel nuovo mondo della “trade war”.