“A good prime minister is a good butcher” (macellaio, ndr). Così recita un detto britannico che esprime una prerogativa del primo ministro in una forma di governo di vero “premierato”.
Il leader del partito che vince le elezioni nel Regno Unito è automaticamente il primo ministro e l’incarico del capo dello Stato (del re) di formare il governo è una mera formalità. Immediatamente dopo il governo è formato, perché – salvo eccezioni – il “governo ombra” esce dall’ombra e diventa il governo governante. Se le elezioni riconfermano il partito di maggioranza parlamentare i ministri in carica continuano nella loro posizione.
Cosa c’entra, allora, il “macellaio”? Le vicende di un governo nel corso della legislatura sono contrassegnate da eventi imprevisti dovuti agli accidenti della Storia, come la crisi economico-finanziaria del 2010, la pandemia da Covid-19 del 2020 e la guerra russo-ucraina degli ultimi anni, e da quelli delle “storie”, come quella del ministro Sangiuliano di cui le opposizioni si occupano con un filo di compiacimento e la maggioranza con un filo di imbarazzo.
La linea politica del governo deve essere sempre adeguata agli eventi storici. Il governo non può rimanere silente. È il Paese che deve essere collocato nello scenario internazionale e che vuole avere risposte alla sua condizione politica.
Per questo motivo il governo deve essere sempre compatto dietro il premier. Ove mai nascesse un dissidio al suo interno di qualsiasi genere, spetta proprio al primo ministro risolverlo e la soluzione nei sistemi parlamentari implica che la volontà del primo ministro prevalga sulle altre, e che il capo dello Stato si astenga dall’interferire o dal richiedere alcunché. Nella nostra Costituzione il presidente del Consiglio dei ministri “dirige la politica generale del Governo e ne è responsabile. Mantiene l’unità di indirizzo politico ed amministrativo, promovendo e coordinando l’attività dei ministri”; e ciò vale appunto anche nel limitare le eventuali ingerenze del capo dello Stato, che ben può fare uso, in forma strettamente riservata e sempre che sia stato richiesto dallo stesso presidente del Consiglio, del suo potere di moral suasion, ma non può richiedere al capo del governo alcun adempimento.
Inoltre, sia nel caso di un governo sostenuto da un solo partito, sia in quello sostenuto da una coalizione, la primazia del presidente del Consiglio vale nei confronti di tutti i ministri. In quest’ultimo tipo di governo, poi, non ci si può appellare al programma di governo per dissentire dalle decisioni indicate dal presidente del Consiglio, soprattutto se si è il leader di uno dei partiti della coalizione che nella compagine hanno la posizione di vicepresidente del Consiglio. Tutto ciò la dice lunga sulle lunghe discussioni di questa estate a proposito della legge sul cosiddetto ius scholae, così come in riferimento alle discrasie dei comunicati stampa del post vertice di maggioranza.
Costringere la presidente del Consiglio a precisare e a replicare è in contrasto con il principio della coesione del governo espresso dall’articolo 95 della Costituzione e, politicamente, indebolisce l’immagine del governo medesimo. Il presidente del Consiglio dei ministri, a questi fini, può giungere sino a richiedere le dimissioni del ministro dissenziente e a sostituirlo con uno che osservi l’indirizzo politico indicato. Certamente, nel Regno Unito ciò è alquanto agevole, in quanto prevale il “single party government”, nella realtà italiana invece il cambio di un ministro dissenziente appare un po’ più complicato, anche se non mancano precedenti in tal senso: si pensi alla sostituzione del ministro della Giustizia Filippo Mancuso da parte del presidente Lamberto Dini nel febbraio del 1996.
In ogni caso quando i partiti della coalizione scantonano un po’ come nel caso della legge sulla cittadinanza o in quello delle dichiarazioni in relazione al sostegno all’Ucraina, possiamo dire che sono tutti piccoli escamotage per marcare il territorio, ma una eventuale distonia in un voto parlamentare significherebbe la fine della coalizione e l’apertura della crisi. Ecco perché FI non voterà alcuna legge insieme alle opposizioni sullo ius scholae e la Lega continuerà a votare tutti gli invii delle armi all’Ucraina.
Quanto alle “storie”, queste si risolvono in breve, dimissionando, a prescindere dalla profferta delle dimissioni, il ministro che si trova al centro di queste, così da eliminare dalla scena ogni possibile speculazione.
Chi ottiene una posizione come quella di ministro della Repubblica e si ritrova al centro di “storie”, e questo vale non solo per Sangiuliano, vuol dire che è unfit, inadatto per la posizione che occupa e la conclusione delle dimissioni è sufficiente per chiudere il discorso.
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