ABUSI CANADA, PAPA FRANCESCO CHIEDE SCUSA MA AL GOVERNO TRUDEAU NON BASTA

Papa Francesco ha chiesto storicamente, pubblicamente e anche intimamente scusa per quanto avvenuto negli scorsi decenni in Canada, in particolare per le pratiche di conversione forzata praticate in passato dalla Chiesa locale ai danni delle popolazioni indigene. Lo ha fatto abbracciando concretamente i nativi in diversi incontri avvenuti nella sua settimana di viaggio apostolico in Canada (ieri sera l’arrivo in Quebec, da dove poi ripartirà definitivamente in direzione Roma il 30 luglio): ebbene, tutto ciò non è bastato per il Governo canadese il quale non ha visto un sufficiente pentimento del Pontefice, anzi lo accusa di aver “taciuto” sui presunti abusi sessuali avvenuti tra fine Ottocento e la prima parte del Novecento in strutture gestite dalla Chiesa Cattolica.



Il ministro per le Relazioni Corona-indigeni del Governo Trudeau, Marc Miller, è il più deluso dalla visita del Santo Padre: «non è sufficiente l’atto di colpa pronunciato dal Pontefice a nome della Chiesa cattolica». Secondo il giudizio di Ottawa, le «lacune nelle scuse chieste da Papa Francesco non possono essere ignorate», prosegue il Ministro facendo riferimento agli abusi sessuali imputati a esponenti della Chiesa. Non solo, il Pontefice ha «parlato del “male” commesso da singoli cristiani, ma non dalla Chiesa cattolica come istituzione». Nell’accogliere ieri in Quebec il Santo Padre, il Premier Justin Trudeau è stato più diplomatico dei suoi Ministri e ha si è limitato a dire «Come ha detto Vostra Santità, chiedere perdono non è la fine della questione, è un punto di partenza, un primo passo. Lunedì mattina, mi sono seduto con i sopravvissuti e ho sentito le loro reazioni alle sue scuse. Ciascuno ne trarrà ciò di cui ha bisogno. Ma non c’è dubbio che lei abbia avuto un impatto enorme. I sopravvissuti e i loro discendenti devono essere al centro di tutto ciò che facciamo insieme in futuro». Trudeau tra l’altro ha violato i protocolli organizzati, chiedendo e ottenendo di poter intervenire in prima persona ieri sera nell’incontro con il Papa e la governatrice generale e rappresentante delle nazioni indigene Mary Simon.



COSA HA DETTO (DAVVERO) PAPA FRANCESCO IN CANADA

E dire che Papa Francesco aveva cominciato il viaggio in Canada già tracciando la missione cruciale della sua visita: «sono qui per un pellegrinaggio penitenziale per generazioni di assimilazione forzata delle popolazioni native da parte dei missionari cattolici». Si è scusato davanti ai leader degli indigeni, davanti alla popolazione accorsa in massa per la Messa e gli incontri organizzati, ma ha anche rivolto una particolare attenzione affinché quanto avvenuto non possa più avvenire mai più: «Molti di voi e dei vostri rappresentanti hanno affermato che le scuse non sono un punto di arrivo. Concordo pienamente: costituiscono solo il primo passo, il punto di partenza». Papa Bergoglio parlando ai rappresentanti delle comunità native americane ha poi ribadito nella prima parte del suo viaggio in Canada di essere anche lui consapevole che, osservando il passato, «non sarà mai abbastanza ciò che si fa per chiedere perdono e cercare di riparare il danno causato e che, guardando al futuro, non sarò mai poco tutto ciò che si fa per dar vita a una cultura capace di evitare che tali situazioni non solo non si ripetano, ma non trovino spazio».



Il processo però serio che la Chiesa ha cominciato a interpretare attivamente, chiosa il Santo Padre, «è condurre una seria ricerca della verità sul passato e aiutare i sopravvissuti delle scuole residenziali a intraprendere percorsi di guarigione dai traumi subiti». Nel discorso di Papa Francesco davanti alle autorità civili e politiche presso la Cittadella di Quebec si sono delineati anche i prossimi passi da muovere per ristabilire appieno la verità su quanto avvenuto nel passato di decenni: «È nostro desiderio rinnovare il rapporto tra la Chiesa e le popolazioni indigene del Canada, un rapporto segnato sia da un amore che ha portato ottimi frutti, sia, purtroppo, da ferite che ci stiamo impegnando a comprendere e sanare. Sono molto grato di aver incontrato e ascoltato vari rappresentanti delle popolazioni indigene nei mesi scorsi a Roma, e di poter rinsaldare, qui in Canada, le belle relazioni strette con loro. I momenti vissuti insieme hanno lasciato in me un’impronta e il fermo desiderio di farci carico dare seguito all’indignazione e alla vergogna per le sofferenze subite dagli indigeni, portando avanti un cammino fraterno e paziente, da intraprendere con tutti i canadesi secondo verità e giustizia, adoperandoci per la guarigione e la riconciliazione, sempre animati dalla speranza». Chiosa poi finale sul legame molto interessante – perché profondamente attuale – tra le colonizzazioni fisiche e ideologiche: «Se un tempo la mentalità colonialista trascurò la vita concreta della gente, imponendo modelli culturali prestabiliti, anche oggi non mancano colonizzazioni ideologiche che contrastano la realtà dell’esistenza, soffocano il naturale attaccamento ai valori dei popoli, tentando di sradicarne le tradizioni, la storia e i legami religiosi. Si tratta di una mentalità che, presumendo di aver superato “le pagine buie della storia”, fa spazio a quella cancel culture che valuta il passato solo in base a certe categorie attuali. Così si impianta una moda culturale che uniforma, rende tutto uguale, non tollera differenze e si concentra solo sul momento presente, sui bisogni e sui diritti degli individui, trascurando spesso i doveri nei riguardi dei più deboli e fragili: poveri, migranti, anziani, ammalati, nascituri… Sono loro i dimenticati nelle società del benessere; sono loro che, nell’indifferenza generale, vengono scartati come foglie secche da bruciare».