La schiarita è arrivata al termine di una giornata di polemiche furiose: dallo stop imposto dal ministro Giorgetti alla cessione del credito e agli sconti in fattura dei bonus edilizi verrano risparmiate le aree appenniniche, dove è ancora in pieno svolgimento la ricostruzione dopo il terremoto del 2016. Per qualche verso era una concessione attesa, e forse messa nel conto dallo stesso titolare dell’Economia. E non si può escludere che verrà riservato lo stesso trattamento agli interventi per superare le barriere architettoniche, a beneficio dei portatori di disabilità. Poi, però, basta. Il dado è tratto, la cessione del credito è un meccanismo destinato a essere archiviato per sempre.



La mossa di Giorgetti ha preso di sorpresa l’intero mondo politico, non solo l’opposizione, ma la stessa maggioranza. Ma è stata una mossa insieme disperata e obbligata di fronte alla constatazione di conti pubblici fuori controllo, perché la spesa dei superbonus edilizi è cresciuta esponenzialmente negli ultimi mesi, all’avvicinarsi della stretta decisa con la legge di bilancio. Stretta che – evidentemente – non è bastata. Secondo il Corriere della Sera l’insieme dei bonus per ristrutturazioni delle case degli italiani dall’ottobre del 2020 a metà marzo 2024 ha verosimilmente superato quota 200 miliardi di euro, visto che a metà novembre era già a quota 160, e da allora non ha fatto che crescere. Sempre il Corriere indicava un ordine di grandezza: il Fondo sanitario nazionale finanziato dallo Stato quest’anno vale 36 miliardi e il contributo dell’Italia all’Ucraina 1,3 (in totale dall’inizio della guerra). I dati non sono definitivi, per mandare gli ultimi documenti per interventi che erano in uno stato di avanzamento elevato a fine anno c’è tempo sino a primi di aprile, e le cose non possono che peggiorare.



Cifre spaventose, un buco destinato a pesare sui conti pubblici per decenni, di cui l’Europa ormai ci sta chiedendo conto. Perché la cessione del credito è una maniera surrettizia di creare nuova moneta, e di conseguenza inflazione. Per di più si tratta di una voragine che potrebbe persino rendere indispensabile una manovra correttiva, magari subito dopo le europee. E quando si scrive “manovra correttiva” si legge “nuove tasse”. Nonostante tutto questo, decidere di chiudere i rubinetti non è mai una scelta popolare. La Meloni è stata messa con le spalle al muro dalla ferrea logica dei numeri, e ha dato via libera al decreto legge scritto in fretta e furia dai tecnici del ministero dell’Economia, dopo uno scontro con la Ragioneria generale dello Stato, accusata di aver vigilato troppo poco. Quella dell’intenzione di Giorgetti di sostituire il Ragioniere Generale, Biagio Mazzotta, sembra essere ben più  che una voce di corridoio.



Ma se la Meloni si è arresa all’evidenza, non altrettanto si può dire dei governatori, dalla Tesei ad Acquaroli, fino al riconfermato Marsilio. O, ancor più, di alcuni settori della maggioranza, Forza Italia e centristi, che paiono i più nostalgici dell’epoca bella del superbonus. Da Tajani e Depoli sono fioccate dichiarazioni su miglioramenti possibili da apportare al testo in corso di conversione, con l’opposizione critica sulla durezza della svolta imposta da Giorgetti.

È una linea di frattura che dovrà essere monitorata nelle prossime settimane, anche perché certo portatrice di instabilità. Immediata, infatti, è stata la levata di scudi dell’intero settore edilizio, che si sente  danneggiato. Le cifre, però, sono impietose, e parlano di uno sconquasso mai visto sulle casse pubbliche. Spesa folle, e truffe estese, tra le più grandi della storia della Repubblica, ebbe a sentenziare Mario Draghi. Il tutto per intervenire sull’1-2% del patrimonio immobiliare italiano. Proprio in linea con l’ex governatore della BCE, Giorgetti non ha paura dell’impopolarità. Ha deciso che il doppio meccanismo della cessione del credito d’imposta e dello sconto in fattura vanno smontati per sempre. Chi andrà nella direzione opposta si renderà responsabile del definitivo sconquasso dei conti pubblici. Le polemiche sono garantite.

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