Può sembrare da addetti ai lavori la nuove “querelle” sulla (presunta) escalation di interferenza e dirigismo da parte della vigilanza Bce sui grandi gruppi bancari europei. Però la lettera polemica inviata da Lorenzo Bini Smaghi – Presidente del Consiglio di sorveglianza del gigante francese Sociétè Générale – ad Andrea Enria, capo del consiglio di supervisione della Banca centrale europea, è approdata sulle pagine dei media: in una fase di estrema delicatezza per il sistema creditizio europeo, fra inflazione, recessione e politiche monetarie restrittive.
Ma è proprio su questo sfondo che l’Eurotower – vigilante sistemica di un centinaio di big bancarie nell’eurozona – ha alzato il tiro a tutto campo: riaprendo il dossier della limitazione dei dividendi e quello dei parametri patrimoniali; ma soprattutto incrementando le interferenze di fatto all’interno della governance delle grandi banche, peraltro tutte “public company” quotate. Non è certo un tema nuovo il dualismo fra mercato e authority in campo bancario. E proprio l’Italia è stata un laboratorio di primo livello, con esiti alterni.
La grande stagione delle fusioni e acquisizioni all’alba dell’unione monetaria, nel 1999, vide la Banca d’Italia di Antonio Fazio imporre un clamoroso stop alle Opa lanciate da UniCredit su Comit e da SanpaoloImi su Bancaroma. Ma pochi anni dopo – nel 2005 – Fazio fu disarcionato da via Nazionale, indagato e processato per abuso d’ufficio nell’attività di vigilanza quando pilotò una “resistenza sovranista” alle Opa di Abn Amro su AntonVeneta e Bbva su Bnl. Dopo il collasso finanziario del 2008, lo shock-pandemia e ora la crisi geopolitica, la questione riemerge su scala europea, non senza uno specifico “coté” italiano.
È comprensibile la preoccupazione di Francoforte di tenere sotto controllo le big bancarie in una prospettiva di tassi in rialzo (tendenzialmente favorevole sui conti economici), ma di liquidità in diminuzione (tendenzialmente rischiosa per la stabilità patrimoniale). E se è evidente il rifiuto dei banchieri a ogni ipotesi di divieto e tetto alla distribuzione di utili agli azionisti, da parte della Bce si intravvede il timore che le banche possano essere oggetto di provvedimenti di tassazione straordinaria, sulla scia delle forti campagne politico-mediatiche che stanno già investendo le compagnie petrolifere e gli altri produttori d’energia. Più oltre – nell’intercapedine forse più grigia fra vigilanti e vigilati – si può scorgere infine l’ansia della Bce di non essere esclusa da una possibile ripresa del grande gioco delle fusioni e acquisizioni. SocGen per prima è permanentemente al centro di voci di operazioni di aggregazione (anche con l’italo-tedesca UniCredit). Ma ancora una volta lo scontro appare aperto fra Borse e tecnocrati (quando la stagione del Recovery Fund sta riproponendo le tensioni fra economia ed eurocrazie).
Non da ultimo: è curioso che i due interlocutori formali di questa ennesima confrontation siano italiani È singolare che Bini Smaghi sia stato successore di Mario Draghi come Direttore generale del Tesoro e suo predecessore come membro italiano dell’esecutivo Bce. Enria, dal canto suo, è un eurocrate di strettissima ortodossia draghiana: capo dell’Eba (l’originaria authority bancaria della Ue) è stato trasferito da “super-Mario” personalmente alla guida della ben più potente vigilanza Bce, succedendo alla francese Danièle Nouy. E a proposito: è francese la SocGen (che ha mosso Bini Smaghi anche a nome di altri grandi gruppi europei) ma anche la presidente della Bce, Christine Lagarde, responsabile istituzionale ultima anche della vigilanza bancaria. Gli ingredienti di una miscela molto più politica che tecnica sembrano esserci tutti.
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