Nella giornata di ieri è stato annunciato lo stop, forse temporaneo, alle esportazioni di grano ucraino, con l’interruzione di quello chiamato accordo del Mar Nero, siglato dalle Nazioni Uniti, dalla Russia e dell’Ucraina, con la complicità e l’aiuto della Turchia. Secondo il Cremlino, infatti, i tre partner non avrebbero rispettato le sue richieste per permettere al cereale di lasciare, in modo sicuro, l’Ucraina, e ha deciso di ritirarsi dall’intesa.
Le conseguenze dello stop alle esportazioni del grano ucraino sono, ad ora, complicate da prevedere, specialmente per via del fatto che sia una questione ancora “fresca”, ma nonostante questo quasi certamente ci sarà un generale aumento dei prezzi dei prodotti a base del cereale. Per esempio, Assoutenti, citata dal Messaggero, ritiene che prodotti come il pane e la pasta potranno subire rincari fino al 10%. A conti fatti, lo stop al grano ucraino peserebbe, per una famiglia di 4 persone, circa 132 euro all’anno, con la pasta che si attesterebbe ai 2,2 euro al kg (rispetto ai 2 medi attuali) e il pane che viaggerebbe attorno ai 4,3 euro al kg, rispetto agli attuale 3,9.
Emiliani: “Sul grano faranno le spese i paesi in via di sviluppo”
Per comprendere meglio la portata dello stop alle esportazioni del grano ucraino, FanPage ha intervistato Tommaso Emiliani, strategic synergies manager presso EIT Food e ricercatore per ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale. Secondo lui, “ci sono diverse implicazioni che possono derivare dal mancato rinnovo dell’accordo. La più immediata riguarda la sopravvivenza dell’Ucraina, ma anche l’inflazione e i problemi alimentari dei paesi in via di sviluppo”.
Secondo Emiliani, uno dei punti principali dell’accordo sul grano era “dare una valvola di sfogo all’economia in guerra di Kiev. Esporta una quantità vicino all’80% del proprio compartimento agro-industriale, che a sua volta rappresenta il 10% del PIL” e l’interruzione dell’accordo può creare “un problema grave”. Similmente, “in un momento in cui i prezzi dei generi di prima necessità sono così volatili, riducendosi l’offerta, si comprime quella disponibile. Il che potrebbe portare ad una nuova oscillazione del prezzo“. Infine, sottolinea che il 55% del grano esportato dall’Ucraina è destinato ai paesi in via di sviluppo, che seppur si troverebbero in difficoltà, non ricevono un volume tale “da decidere le sorti delle popolazioni alle prese con carestie e crisi alimentari”.