A quei tempi, fare due dischi all’anno era normale. Spesso erano i contratti stessi imposti dalle case discografiche che obbligavano a tale prassi, magari anche tre dischi se eri un artista di successo e “andavi spremuto per bene”. Bastava raccogliere in uno un po’ di brani usciti come 45 giri, in un altro un po’ di avanzi qua e là, nel terzo la roba migliore a disposizione. I Grateful Dead non erano un gruppo di successo, tutt’altro, ma nel 1970 la loro creatività era talmente esplosiva che pubblicarono due dischi in dodici mesi. Benché dal vivo godessero di un seguito molto ampio e fossero il simbolo della San Francisco “trippy”, psichedelica, libertaria, i loro dischi in studio non vendevano. Troppo complicati. Ci volle infatti un disco dal vivo, il magnificente Live/Dead per farli conoscere al di fuori della Bay Area.
Poi cominciò il nuovo decennio, gli anni 70. L’aria musicale stava cambiando in tutta l’America. L’estate dell’amore che i Dead avevano cavalcato alla grande insieme ai Jefferson Airplane e tanti altri gruppi era ormai dimenticata con tutte le sue utopie. Gli acid test, le sperimentazioni con l’lsd che dovevano cambiare il mondo,di cui proprio i Grateful Dead erano stati i portabandiera, avevano lasciato il passo all’irruzione delle droghe pesanti e mortali, eroina e cocaina.
Dal rock rivoluzionario, trasgressivo, si assisteva a un inusitato ritorno alle radici della musica americana stessa: il country, il blues, il folk. Il tutto con una spruzzata di quanto il rock del passato decennio aveva portato. Era un ritiro nel privato, a leccarsi le ferite. I gruppi si sparpagliarono su e giù per la costa californiana, non ci assisteva più a quelle straordinarie jam in studio o dal vivo che avevano prodotto capolavori comunitari.
Ecco che gli psichedelici Byrds andarono a Nashville per registrare con musicisti country. Che The Band incideva dischi che narravano dei tempi della guerra civile. Che nella Los Angeles dei Doors prendeva forma una band che avrebbe dominato tutto il decennio successivo con melodie vintage e chitarre acustiche, gli Eagles. E nasceva anche un supergruppo, il primo della storia, con un ex Byrd, un ex Buffalo Springfield e un ex inglese degli Hollies: CSN.
Jerry Garcia e soci fiutarono tutto questo sommovimento. In fondo prima di darsi alla psichedelia erano cresciuti suonando musica popolare, bluegrass e folk. Fino ad allora per registrare un disco i Dead avevano impiegato settimane, difficili e faticose, facendo dubitare i discografici del loro valore commerciale, pronti a scaricarli da un giorno all’altro. Entrando negli studi di registrazione Pacific High a San Francisco, nel febbraio 1970, decisero che questa volta avrebbero fatto tutto velocemente: “Facciamolo tutto in tre settimane e togliamocelo di mezzo” disse Jerry Garcia. In realtà, fecero tutto in nove giorni.
A differenza della musica psichedelica ed elettrica per la quale la band era diventata famosa, le nuove canzoni presero una nuova direzione, facendo rivivere le loro radici folk-blues. Il bassista Phil Lesh ricorda: “I testi delle canzoni riflettono un’America ‘vecchia e strana’ che forse non è mai esistita … L’apparizione quasi miracolosa di queste nuove canzoni avrebbe anche generato un enorme cambiamento di paradigma nella nostra mente di gruppo: dalla frenesia assordante di un drago sputafuoco a sette teste al calore e alla serenità di un coro di cherubini cantilenanti. Anche la copertina dell’album riflette questa nuova direzione: la copertina di Aoxomoxoa è colorata e psichedelica, quella di Workingman’s Dead è monocromatica e seppia”. Un disco della classe lavoratrice, come suggerisce il titolo, seppur i personaggi, da Casey Jones a Uncle John fanno parte della visione antagonista dei giovani di allora. Cocaina e pistole, fuorilegge di un West inesistente che si tirano fuori dalla società, ecco chi celebravano. Uscito nel mese di giugno, il disco con felicità dei discografici che ormai non riponevano più fiducia nei Dead, si piazzò bene in classifica.
Incredibilmente, grazie agli amici David Crosby e Stephen Stills, i Dead impararono a costruire armonie vocali come non avevano mai fatto: Uncle John’s Band, High time e Cumberland blues ad esempio. “Ascoltando quei ragazzi cantare e quanto suonassero bene insieme, abbiamo pensato, ‘Possiamo provarci. Lavoriamoci un po’’” commentò Jerry Garcia a proposito di CSN. E ci riuscirono alla grande. concludendo con la eccitante e travolgente Casey Jones, un country rock sostenuto da un ritmo brioso, che inneggia a una locomotiva fantasma e al suo pilota che viaggia spinto dalla cocaina. In occasione del 50esimo anniversario è stata pubblicata una versione deluxe che contiene due concerti del febbraio 1971, testimonianza di uno dei loro migliori periodi dal vivo con cover come Me and Bobby McGee, Johnny B. Goode, Good Lovin’. Una autentica rock’n’roll band.
Passano solo cinque mesi e nello stesso 1970 esce un secondo disco, probabilmente il loro miglior lavoro in studio di sempre. Si intitola American Beauty anche se osservando la bella immagine di copertina traspare un’altra scritta, American reality. Sarebbe stato il titolo perfetto per un disco che celebra la tradizione americana attraverso canzoni splendide. Già il titolo è un manifesto di intenti, una celebrazione della giovane America, dei suoi sogni e speranze intrecciate con la storia passata del paese. Il disco è ancora più orientato verso la musica country, con pochissime parti di chitarra solista e molta pedal steel che Jerry Garcia aveva appena cominciato a suonare con un tocco particolarissimo.
Il disco è pieno di gemme musicali, particolarità è che quasi ogni membro partecipa alla composizione senza l’usuale monopolio di Jerry Garcia per le musiche e Robert Hunter per i testi. E’ come se queste canzoni giungessero da un giardino incantato. Ripple ne è il manifesto, uno dei massimi capolavori inciso dai Dead. L’embrione originale del pezzo venne scritto a Londra da Robert Hunter, Jerry Garcia la fece sua. E’ una canzone dalla melodia spaccacuori che celebra la gioia della musica intorno a noi e del fatto che ciascuno debba scegliere il proprio percorso nella vita. Alcuni versi risalgono al Salmo 23 dell’Antico Testamento: “Allunga la mano se la tua tazza è vuota Se la tua tazza è piena, potrebbe esserlo di nuovo, sappi che c’è una fontana Non è stata fatta dalle mani degli uomini C’è una strada, non una semplice autostrada Tra l’alba e il buio della notte E se vai nessuno può seguirti Quel percorso è solo per i tuoi passi”.
Di altrettanta bellezza è l’iniziale Box of rain, scritta dal bassista Phil Lesh con testo di Hunter, mentre Friend of the devil simboleggia questo periodo della carriera del gruppo americano. Brano country folk veloce, racconta le disavventure di un fuorilegge del vecchio West costretto a spostarsi di città in città con gli sceriffi alle calcagna: “Un amico del diavolo è mio amico”. Con Sugar Magnolia Bob Weir regala invece alla band un pezzo ballabile, in pieno stile hippie, buone vibrazioni, diventerà un classico dal vivo capace di far ballare 60mila spettatori all’unisono.
Il disco si chiude con un brano scritto a quattro mani da Lesh, Weir, Garcia e Hunter, Truckin’, dedicata ai camionisti, l’equivalente moderno dei fuorilegge del vecchio West che si spostano da una città all’altra e il cui unico scopo della vita è il movimento, un immaginario tipicamente americano. Contiene il celebre verso “What a long strange trip has been”, che razza di lungo e strano viaggio è stato, che gioca con l’ambiguità di “trip”, viaggio anche nel senso di quello che si fa con l’uso della droga, destinato a diventare il loro inno.
C’è l’America, tutta intera, in questo straordinario disco. Dopo questa coppia di album, i Dead si sarebbero diretti verso altre direzioni, tra jazz, fusion e ancora rock psichedelico. Ma la loro anima rimane per sempre in questa accoppiata. In occasione del 50esimo anniversario anche di American Beauty esce una edizione deluxe con due cd contenenti l’intero concerto del 18 febbraio 1971 al Capitol Theatre di Port Chester, New York.