Chi non capisce cosa ci azzecchino una matita, o una penna, e una musicassetta, evidentemente appartiene a generazioni troppo giovani che si sono perse un bel pezzo di storia della musica. Anzi, nonostante qualcuno dica che le musicassette siano tornate di moda con un aumento di vendite pari al + 103% rispetto al 2019, ben pochi al di sotto dei 50 anni sanno neanche cosa siano. Un po’ come i vinili, ma anche i cd, tutti strumenti che oggi, con la musica cosiddetta liquida, quella in streaming e in download, i ragazzi non immaginano neppure. Ma su questi oggetti si sono costruiti i sogni belli di più di una generazione, oggi dispersi in un consumo compulsivo usa e getta per via di Internet. L’inventore della musicassetta, Lou Ottens, un ingegnere olandese, è morto ieri all’età di 94 anni, portandosi via anche i nostri sogni.
La musicassetta era il modo più semplice e economico per ascoltare la musica: con poche lire acquistavi questi piccoli contenitori di nastro magnetizzatore su cui registrare i costosi vinili e anche i cd dei fratelli e degli amici maggiori che non potevi permetterti di comprare, e quando poi nacque anche il walkman, che ti permetteva di portartele dietro per strada grazie a comode cuffiette, era il paradiso. Camminavi per strada chiuso nel tuo mondo, in una sorta di colonna sonora tutta tua. Purtroppo proprio il sistema economico della cassetta aveva dei difetti, e spesso il nastro si inceppava, così dovevi ricorrere proprio alla penna o alla matita per rimetterlo in moto o peggio ancora dopo tanti ascolti usciva dal supporto e perdevi tutte le tue canzoni. A rendere romantiche le musicassette ci pensò lo scrittore inglese Nick Hornby nel suo bellissimo e famoso romanzo Alta fedeltà, dove il protagonista passa le nottate a fare compilation a tema su cassetta per le sue fidanzate: canzoni d’amore, canzoni tristi, canzoni gioiose. Le musicassette diventavano espressione del nostro io e contenevano un messaggio preciso per una persona precisa: quante nottati a metter giù compilation, ci sentivamo dei discografici. Le cassette ci hanno insegnato come usare la nostra voce, anche quando il messaggio proveniva dalle canzoni di qualcun altro, compilate meticolosamente su un mixtape. Fedeli alle loro radici fai-da-te, i mixtape a cassetta sono stati a lungo la cosa preferita dei fan del punk e del rock. Ma la loro eredità incombe anche nell’hip-hop, dove aspiranti rapper e produttori hanno utilizzato l’approccio per mostrare la loro capacità di sminuzzare altra musica e creare qualcosa di nuovo.
L’ethos del mixtape è sopravvissuto – e persino prosperato – nonostante il passaggio dai nastri magnetici ai CD e ai formati digitali. Erano poi il mezzo perfetto per i lunghi viaggi in macchina, in scatolette da 90 o 120 minuti ecco raccolte di dozzine di dischi che non potevamo portarci in giro. «Dovete sapere che la creazione di una grande compilation, così come una separazione, richiede più fatica di quanto sembri. Devi iniziare alla grande, catturare l’attenzione! Allo stesso livello metti il secondo brano, e poi devi risparmiare cartucce inserendo brani di minore intensità. Eh… sono tante le regole. Comunque… ho iniziato a pensare a una cassetta per Laura. Conosco i suoi gusti e cercherò di farla felice. E per la prima volta, so di poterci riuscire.» Ecco la lezione del protagonista di Nick Hornby. Chi ha perso quella pagina della storia, peggio per lui. Noi abbiamo avuto una vita senz’altro migliore.