Gas e nucleare sono esclusi dai progetti finanziabili con le obbligazioni verdi, i green bond annunciati questa settimana dal Commissario Ue al Budget, Johannes Hahn. Circa un terzo dei 750 miliardi di euro stanziati per i Recovery Plan presentati dai 27 Stati saranno reperiti mediante varie emissioni di obbligazioni verdi da qui al 2026 per un totale di 250 miliardi di euro. La prima asta di 80 miliardi è fissata per ottobre, anticipando di un mese la COP26, la conferenza climatica delle Nazioni Uniti che si terrà a Glasgow.
Da considerarsi come un bollino di garanzia per gli investitori in finanza sostenibile, il totale delle emissioni di green bond sui prossimi 5 anni porterà l’Unione a essere uno dei principali emittenti di obbligazioni a scopo ambientale a livello mondiale. I soldi raccolti sui mercati finanziari andranno a sostenere progetti nei settori della ricerca e innovazione in campo ambientale, dell’efficienza energetica, della gestione dei rifiuti, dei trasporti ecologici.
Come precisato dal Commissario Hahn durante la presentazione del quadro regolatorio dei green bond, il denaro raccolto non potrà essere usato per iniziative nel nucleare, mentre è previsto che siano finanziabili alcuni progetti con il gas: per esempio, i gruppi di continuità delle rinnovabili; quando il gas serve per alimentare apparecchiature destinate a evitare l’interruzione di fornitura di energia da fonti intermittenti come sole e vento. L’idrocarburo in soccorso delle energie green. Fondamentale, se si considera che giovedì scorso, alla Borsa elettrica britannica, il prezzo all’ingrosso ha superato il valore di un euro per kilowattora (10 volte il prezzo medio europeo) a causa di una bonaccia nel ventoso Mare del Nord in concomitanza con il tramonto del sole.
Come atteso, la precisazione del Commissario ha riacceso la polemica sulla questione – ancora irrisolta – se riconoscere all’energia nucleare lo status di energia pulita nella tassonomia verde, che vede contrapposte Germania e Francia. Quest’ultima ha il primato europeo del Pil con la più bassa intensità carbonica, grazie al 75% di produzione elettrica proveniente dai suoi 58 reattori attivi.
Per l’esattezza, però, si sta facendo – deliberatamente o meno – confusione tra due interventi della Commissione: obbligazioni verdi e tassonomia verde, sostanzialmente simili ma distinti.
Le obbligazioni verdi hanno come obiettivo di rilanciare nell’immediato l’economia della transizione energetica. Servono nel breve-medio termine per progetti che contribuiscono a realizzare il taglio di 55% delle emissioni di CO2 entro i prossimi 9 anni. La tassonomia verde invece stimola gli investimenti verdi riferiti a una finestra temporale più ampia per raggiungere la neutralità carbonica nel 2050. In entrambi i casi, green bond e tassonomia, sono leve finanziarie volte a orientare i capitali verso attività ritenute compatibili con gli obiettivi del piano di rilancio e resilienza della Next Generation Eu, ma con scadenze diverse.
L’emissione di green bond sancisce l’orientamento della Commissione a porre la finanza verde in prima linea nello sforzo della ripresa economica. Poi però chi deve pagare restituzione e interessi di questi capitali presi in prestito sui mercati finanziari internazionali? I contribuenti europei. I green bond, così come altri futuri titoli specifici emessi dall’Unione per coprire i programmi Next Generation, sono un “finanziamento ponte” in attesa che l’Ue strutturi diversamente il suo bilancio, attualmente insufficiente per coprire l’eccezionalità dei 750 miliardi di euro previsti dal Fondo per la ripresa.
Come rimpinguare le casse europee? Istituendo delle imposte dirette. Ad esempio, a Bruxelles si sta discutendo di una tassa digitale sui grandi gruppi, di ritocchi sulla tassa sul carbonio, di una tassa sulla plastica. L’unica che è stata introdotta, ma con modalità così barocca da scontentare tutti: produttori, ambientalisti e consumatori.