La commissaria spagnola Teresa Ribera avrà uno dei ruoli più importanti nella prossima squadra di governo della presidente Ursula von de Leyen oltre ad essere uno dei vicepresidenti esecutivi al pari di Raffaele Fitto. Per molti la commissaria spagnola potrebbe essere un vero e proprio alter ego della presidente, proprio come lo fu Frans Timmermans in quella precedente. In questo senso molti, come il partito popolare europeo, avevano espresso dubbi sulla nomina della spagnola a quell’incarico. Ma questo non ha certo fermato la neo-commissaria spagnola, una fedelissima del premier Sánchez, che ora sembra poter essere una delle punte della Commissione. Anche Fitto dovrebbe poter giocare un ruolo da protagonista: le sue deleghe su coesione, PNRR e riforme permettono all’Italia di avere un proprio uomo a gestire la gran parte dei fondi che l’Ue destina alle aeree più svantaggiate, come quelle del nostro Mezzogiorno (stiamo parlando di qualcosa come mille miliardi di euro).



Intanto, almeno sulla carta, la Ribera sembra essere quella maggiormente premiata dalle scelte di von der Leyen. E questo si presta certamente a qualche interpretazione, considerando che sono stati eliminati tutti i nomi che potevano farle in qualche modo ombra, ultimo in ordine di tempo il francese Thierry Breton.

Ora resta da capire se veramente la spagnola abbia la forza e l’autonomia per poter andare nella direzione da molti auspicata sul fronte del Green Deal. Perché come ha detto la presidente del Consiglio Meloni di recente all’assise di Confindustria, il tema è certamente uno di quelli centrali per la prossima Commissione. Si tratterà allora di capire come la nuova commissaria vorrà portare avanti il suo mandato sulla transizione green dell’Europa, e cioè capire se vorrà proseguire sulla linea ideologica e radicale, intrapresa da Timmermans, o se invece preferirà adottare un approccio più pragmatico, che tenga in conto anche le esigenze del mondo produttivo. Perché, se è vero che Teresa Ribera viene considerata una intransigente e a tratti integralista sull’ambiente, è anche vero che sembra essere più sensibile, rispetto al suo predecessore, a quelli che sono i problemi legati ai costi diretti ed indiretti di questa transizione.



La visione di Ribera per il futuro dell’agenda dell’UE potrebbe infatti essere considerata un “Green Deal 2.0”: un’azione forte e costante sul clima e sull’ambiente che serva da base, però, per una maggiore prosperità economica.

Rispetto all’attuale Green Deal, Ribera sembrerebbe voler porre maggiore enfasi sulla dimensione sociale: compensare le persone per i costi dell’azione climatica e utilizzare la transizione per promuovere l’uguaglianza e l’inclusione sociale. Ribera pone particolare enfasi sul passaggio degli Stati membri all’energia pulita, considerandolo “un modo per costruire un’Europa orgogliosa per modernizzare la nostra economia, per reindustrializzare o modernizzare l’industria esistente, per ridurre i divari sociali e per lavorare contro le disuguaglianze”.



Nata il 19 maggio 1969 da madre saggista e filosofa e padre professore di medicina, Teresa Ribera è cresciuta con le sue quattro sorelle in un quartiere residenziale di Madrid. È sposata con un avvocato di padre argentino ma con passaporto spagnolo, Mariano Bacigalupo, ex consigliere della CNMC, l’autorità spagnola garante della concorrenza. Laureata in giurisprudenza e scienze politiche presso l’Università Complutense di Madrid, questa appassionata di escursionismo e lettura ha iniziato la sua carriera negli anni 90 presso il ministero dei Lavori pubblici e dei trasporti, e successivamente presso l’Ufficio spagnolo per il cambiamento climatico. Segretario di Stato per i cambiamenti climatici nel secondo mandato del socialista José Luis Zapatero (2008-2011), nel 2013 si è trasferita a Parigi per dirigere il think tank Istituto per lo sviluppo sostenibile e le relazioni internazionali (IDDRI). In tale posizione ha partecipato alle discussioni sull’Accordo di Parigi (2015) contro il cambiamento climatico ed è stato membro di numerosi consigli scientifici. Un’esperienza che ha portato Pedro Sánchez a nominarla ministro della Transizione ecologica quando il socialista è salito al potere nel 2018.

A Bruxelles, lo scorso anno Ribera ha svolto un ruolo chiave nella realizzazione di una delicata riforma del mercato elettrico. In Spagna ha promosso lo sviluppo dell’idrogeno verde, ha vietato la caccia al lupo e ha lanciato un piano per salvare il Mar Menor, una laguna salata minacciata dai nitrati agricoli. Una gestione che gli è valsa anche critiche, soprattutto da parte degli agricoltori.

Una delle questioni dirimenti sul campo che interessano da vicino anche il nostro Paese sarà il provvedimento che prevede lo stop alla vendita di auto a motore termico entro il 2035. Il ministro del made in Italy Adolfo Urso ha preparato una proposta alternativa da discutere subito a Bruxelles, sulla possibilità di cambiare quella che è una regola così stringente e radicale, in grado di mettere in seria difficoltà un comparto, come quello dell’auto,  che dà lavoro a circa 6,6 milioni di persone in tutta Europa (oltre il 6% dell’intera forza lavoro del vecchio continente).

A vedere la storia della ministra, però, il compito di Urso e di quanti spingono per una revisione delle scelte più radicali operate dal Green Deal della passata legislatura, non sembra proprio facile. Ribera non è una che scende tanto facilmente a compromessi, come ha dimostrato in occasione della Cop29 di Dubai quando aveva definito “disgustosa” la lettera con cui i Paesi produttori di petrolio avevano lanciato il segnale che un mondo senza idrocarburi sarebbe stato impossibile. Ribera si è dimostrata acerrima nemica del carbone, chiudendo molte miniere nel suo Paese. Pensando però anche a riconvertire le mansioni dei lavoratori, per cui aveva stanziato 250 milioni di euro.

Ma all’interno della Commissione la socialista Ribera dovrà per forza di cose mediare le sue posizioni con quelle degli altri commissari che deve supervisionare e che sono tutti del Ppe, partito che vuole adottare un atteggiamento certamente meno radicale di quello prevalso nella precedente legislatura. Mentre nella passata legislatura la maggioranza era certamente spostata a sinistra, ora inevitabilmente il baricentro si è spostato molto più a centrodestra. Ecco perché molti analisti sono convinti che probabilmente si riuscirà a trovare un compromesso verso una transizione green più pragmatica e meno ideologica.

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