La maionese impazzita degli equilibri politici impossibili di Strasburgo si sta riverberando già – pur non ancora per motivi pratici – sulle ancora in molti casi surreali ripartizioni del potere ecologico tra Stato ed enti locali in Italia.
Già: potere ecologico. Quello per cui in Toscana – racconta Repubblica, pure non severissima verso l’amministrazione regionale di Giani – in alcune province come Pisa, Livorno e Grosseto, stanno aumentando a vista d’occhio le autorizzazioni per i cosiddetti “sistemi Bess”, ossia Battery Energy Storage System, insomma i maxi-accumulatori di area ai quali, a regime (già: ma quando, ma come?) sarà affidato il compito di “livellare” l’erogazione delle energie rinnovabili prodotte da vento e sole (fonti pulitissime ma incostanti) alla rete, che ha invece bisogno di alimentazione regolare… Per capirci: oggi chi vuole accendere la lavatrice di notte, magari per risparmiare sulla bolletta, è sicuro di trovare corrente elettrica alla presa di casa perché il grosso è ancora prodotto bruciando idrocarburi. Di notte invece il fotovoltaico non funziona; spesso neanche l’eolico, perché le pale generatrici fanno un rumore infernale, o anche perché a volte di notte il vento cala. E allora, le nostre lavatrici le facciamo funzionare a pedali? No, vero? Infatti, serviranno i Bess: che però, diciamocelo, sono un altro dito nell’occhio del paesaggio. Sono dei megacontainer verdognoli, più o meno esteticamente repellenti. In Toscana ne nasceranno centinaia. Riporta Repubblica che “Enel ne sta costruendo uno nella sua centrale di Santa Barbara, a Cavriglia, in provincia di Arezzo. Engie 3 anni fa ha avuto il via libera per un Bess da 37,5 MW nel suo sito di Rosignano”.
Pare che però la deriva preoccupante risalga a tempi più recenti di quelli nei quali questi colossi avevano ottenuto le loro autorizzazioni. Ci sono società fungo, nate da poco e di dubbia solidità, che stanno chiedendo e ottenendo i timbri necessari. Anche su terreni a uso agricolo, intanto che il Governo centrale continua a gingillarsi sulla “vexata quaestio” (forma aulica per non dire: pasticcio, o di peggio) del fotovoltaico agricolo, tra spinte opposte e divergenti.
Il tema è: questi Bess sono un’infrastruttura di interesse nazionale, devono essere “in rete” e la loro installazione non può dipendere dall’Italia dei campanili. Naturalmente per ora sta accadendo il contrario. Ce ne meravigliamo? Assolutamente no: è un piccolo memorandum del disastro burocratico che è il Green Deal europeo sin dal suo primo vagito, e che quindi sta diventando anche il piano green italiano, con l’unico argine di una persona perbene come il viceministro Vannia Gava, cui si deve quasi tutto il buon senso che qua e là ogni tanto emerge, e in fondo anche dall’inoffensività di Pichetto Fratin, ministro per bene ma un po’ alieno alla complicatissima materia.
Insomma, il federalismo imperfetto e il pasticciaccio brutto del bilanciamento delle competenze tra centro e territorio ha colpito ancora: come già fu con la proliferazione delle pale eoliche, appunto, e dei campi fotovoltaici nella prima ondata di investimenti pubblici, con i vari “conti energia”; vera cuccagna per chi li capì, roba che il Superbonus impallidisce, finché nel Governo Monti il ministro Passera arrestò la deriva, senza farsi troppi amici per questo.
Però, fermi tutti: stiamo parlando di baruffe chiozzotte quando sopra di noi, appunto a Strasburgo, il disordine regna sovrano.
Che sta succedendo? Molto semplice. La nuova maggioranza Ursula, che per stare in piedi con lo sputo dovrà contemperare sotto l’ombrellone della bi-presidente un suffragio diversificato al punto da sembrare Arlecchino, vede nei Verdi un puntello essenziale. Ma a parte il giusto moderatismo dei popolari, il vero elefante nella stanza europea sono i fondi, che scarseggiano.
Attenzione: scarseggiano tutti i fondi, pubblici e anche privati. Quelli pubblici, è presto detto. Finanziare la transizione sembrava un imperativo categorico, ma non lo è più. Nel bilancio comunitario in vigore e in prospettiva, non ci sono abbastanza risorse. Al punto che la devastante direttiva Case Green è stata approvata con l’esplicita indicazione che gli Stati non potranno chiedere sussidi all’Europa, per attuarla, né finanziarli direttamente (così è scritto, poi è evidente che uno Stato ricco troverebbe il modo di farlo, ma ormai di Stati ricchi non ce ne sono più).
E mancano i soldi privati: già, perché comunque la si pensi sul green, non c’è dubbio che assorbe fortissimi investimenti, che danno ritorni importanti, ma su prospettive pluriennali. E dunque, con i tassi d’interesse ancora alti come inspiegabilmente li mantiene la Bce della Lagarde – su ordine del Paese economicamente oggi peggio messo, ossia la Germania – gli imprenditori non investono volentieri in attività dal ritorno a lungo termine, quali sono appunto le energie rinnovabili. Dunque, gli Stati – compresi gli Stati Uniti, che sono fermi a poco più della metà nel dispiegamento dei loro 400 miliardi di dollari per il verde – sono fermi. E i privati pure. Allegria.
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