Riconciliare il pianeta con la crescita economica: questo il filo rosso che segna il discorso di Ursula von der Leyen nel presentare ieri il Green Deal all’europarlamento. Tradisce emozione la Presidente nel suo accorato appello ai Parlamentari quando li esorta a sostenere il piano di transizione industriale, energetico ed economico per portare l’Europa a essere il primo continente neutrale dal punto di vista delle emissioni di carbonio nell’atmosfera al 2050. Settant’anni fa il nucleo originario della comunità si formò su carbone e acciaio portando il miracolo economico; oggi si rinsalda attraverso rinnovabili ed economia circolare per realizzare “uno sviluppo che restituisce più di quello che prende”. Tagliare emissioni creando lavoro, promette la Presidente von der Leyen. Una transizione inclusiva che “non deve nuocere” penalizzando particolari fasce sociali, filiere industriali o regioni, rincara Frans Timmermans, il vicepresidente con delega al Green Deal. Presentato nei suoi assi principali, il cronoprogramma delle azioni del Green Deal si snoda sull’arco del prossimi mesi per arrivare a novembre 2020 alla prossima conferenza sul clima il COP26 di Glasgow con il piano completo.
Cinquanta azioni compongono la proposta di 23 pagine e interessano molteplici settori: dai pesticidi chimici (da dimezzare in 10 anni) ai rifiuti (industria europea utilizza solo 12% di materie riciclate), dalle foreste (riforestazione per trarre 20% del mix energetico da biocombustibile) alle abitazioni (efficientamento energetico) e ai parametri di scarico dei veicoli, dal trasporto marittimo che, al pari di quanto ora avviene per le centrali elettriche, pagherà dei certificati per inquinare (Ets) alle compagnie aeree che sopporteranno tagli alle esenzioni.
Strategia e normativa sono rimandati al Climate Law, il pacchetto da presentarsi il prossimo marzo di cui è noto però il target: innalzare il taglio delle emissioni di gas serra rispetto ai livelli 1990 dall’attuale obiettivo del 40% a una forchetta di 50-55% da decidere entro la prossima estate. Percentuale ambiziosa, ma ancora insufficiente per contenere l’innalzamento delle temperature globali sotto i 2° C entro la fine del secolo (attualmente siamo sulla rotta del superamento dei 3° C).
L’economia circolare con la riconversione delle produzioni energivore come il cemento, l’acciaio e il tessile, è un altro punto del Green Deal che incalza innovazione e tecnologia. Si parla di ricorso all’idrogeno per la fabbricazione di acciaio pulito entro 10 anni, così come di batterie riutilizzabili e riciclabili Made in Europe. Previsto in tal senso nel bilancio comunitario un incremento degli stanziamenti in R&S di 260 miliardi di euro.
Se, secondo un sondaggio, per la popolazione dei 28 Stati la questione ambientale è schizzata in cima alle priorità d’azione dell’europarlamento, è altrettanto vero che non c’è consenso unanime tra i Paesi. Sono contrari la Repubblica Ceca, l’Ungheria e la Polonia, tutte economie fortemente dipendenti dalle energie fossili le quali oggi (giovedì) al Consiglio europeo, insieme ad altri paesi dell’Est, ostacoleranno la proposta, rendendo meno probabile che il Green Deal diventi un provvedimento effettivo l’anno prossimo.
Per vincere le reticenze dei governi e i timori dei lavoratori del Vecchio Continente preoccupati di perdere il lavoro e/o dover sostenere i costi della decarbonizzazione, la Commissione mette quindi sul piatto il “Just Transition Mechanism”, un fondo alimentato da soldi pubblici e di attrazione di risorse private in grado di mobilitare complessivamente fino a 100 miliardi nei prossimi 7 anni. I dettagli saranno presentati l’8 gennaio.
Altra questione spinosa riguarda la competitività delle virtuose imprese europee penalizzate sul mercato internazionale da aziende inquinatrici e il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. L’Ue sta negoziando con la Wto, Organizzazione del commercio internazionale, dei dazi doganali sui beni importati da Paesi con norme ambientali meno rigide dell’Ue sui prodotti extra-Ue con carbonio. Mossa che ha subito sollevato l’irritazione del governo di Pechino.
Ursula von der Leyen è consapevole che un Green Deal così ambizioso non può essere scolpito nella pietra e richiede una costante sensibilità per cogliere in corso d’opera dove sia possibile spingere sull’acceleratore e quando rallentare. A chi le rinfaccia il costo troppo alto del suo piano, la Presidente del governo europeo ribatte che è comunque inferiore al costo dell’inazione. Un dato per tutti: l’anno scorso dieci miliardi persi a causa della siccità.
Tra i possibili aggiustamenti collaterali, anche se ora completamente esclusi dal documento, potrebbero essere la revisione degli aiuti di Stato all’ambiente e all’energia, così come una rivisitazione delle regole sui conti pubblici con lo scorporo dal deficit degli investimenti verdi. Due temi strategici per l’Italia, perché si aprirebbe un inaspettato margine di manovra per l’Ilva di Taranto e perché 56 miliardi di investimenti pluriennali green inseriti nella legge di bilancio 2020 non sarebbero imputabili allo sbilancio dei conti pubblici italiani.