Arrivare all’inquinamento zero è costoso. Sono necessari investimenti massicci sia da parte delle imprese che dei cittadini. Per questo, oltre agli ambiziosi obiettivi di neutralità carbonica entro metà del secolo, l’Europa deve impostare la transizione nello spirito della sostenibilità economica e dell’equità sociale.
E’ lo spirito, appunto, della costituzione di uno schema finanziario per una transizione giusta (Just Transition Fund), i cui dettagli economici sono stati presentati mercoledì dalla Commissione europea.
La ripartizione dei fondi tra gli Stati ha fatto storcere il naso a diversi, sollevando, in Italia, accuse al governo Conte di non muoversi bene a livello europeo. Com’è concepibile che l’Italia riceva appena 364milioni di euro da questo fondo, mentre la Polonia intaschi 2 miliardi di euro? L’Italia viene superata da 6 nazioni, tra le quali anche la Germania, che si aggiudica 877 milioni, e la Francia (402 milioni), il cui mix energetico, assente il carbone, è a predominanza di fonti pulite grazie al nucleare.
Il paradosso è proprio che l’Italia, pur avendo un mix energetico lontano dall’essere 100% pulito nonostante il balzo avanti delle rinnovabili, ha compiuto grandi passi avanti nell’efficientamento dei processi produttivi e della generazione elettrica.
Insomma, non solo il Paese ha fatto i compiti a casa, ma ha un tessuto produttivo a prevalenza di industrie di trasformazione, a differenza del nostro vicino d’oltralpe, dove c’è una maggiore presenza di industrie pesanti e del settore chimico. Anche la Germania, notoriamente percepita come il campione europeo delle rinnovabili, è un’economia piuttosto dipendente dal carbone e dalla lignite. Tanto più che il programma di uscita progressiva dal nucleare, deciso all’indomani dell’incidente di Fukushima, si sta realizzando proprio a beneficio del carbone.
I 2 miliardi di euro, sui complessivi 7,5 miliardi del Fondo per la Transizione Giusta, destinati alla Polonia possono sembrare eccessivamente generosi, se non si arriva a considerare che dei 160mila posti di lavoro a rischio in Europa nei prossimi 10 anni con l’abbandono del carbone, almeno la metà sono concentrati proprio in Polonia. Per qualcuno si tratta soprattutto di ammorbidire il governo di Varsavia, il quale, assieme alla Romania che riceve 757 milioni, alla Repubblica Ceca (581 milioni) e alla Bulgaria (458 milioni), tutte economie fortemente dipendenti dal carbone, aveva votato contro il Green New Deal di Ursula von der Leyen.
La Commissione, decisa a scommettere su un nuovo modello di sviluppo europeo, può sperare di riuscirci solo se aiuta concretamente la riconversione dei lavoratori dei settori che devono sparire nel disegno della neutralità carbonica entro il 2050. Nella risoluzione approvata, i criteri di assegnazione sono definiti in modo da mettere fuori gioco gli espedienti per trasferimenti netti a favore di governi da distribuire a pioggia per conquistare il consenso dei lavoratori-consumatori elettori. Così pure viene specificato che i fondi non devono servire a imprese per pagare passività originate da errori passati.
Questo taglia definitivamente l’ipotesi, ventilata da alcuni, di dirottare delle risorse sull’Ilva. Le risorse, inizialmente destinate semplicemente a regioni carbonifere e paesi ad alta intensità di carbonio, criterio che avrebbe ulteriormente sfavorito l’Italia e favorito la Germania, sono state successivamente rimodulate, introducendo altri pesi, quali l’inquinamento industriale per il 49%, l’intensità occupazionale nel settore estrattivo del carbone e lignite per il 25% e il peso dell’occupazione nell’industria per il 25%, il tutto con aggiustamenti sulla base del reddito pro capite nazionale.
Indubbio l’intento corretto del Fondo, ma la percezione complessiva è una distorsione del classico principio “chi inquina paga” nel “chi inquina riceve”.