Venerdì prossimo il Cts si riunisce per esaminare la richiesta del Ministero della Salute in merito alla possibilità di prorogare la durata del Green Pass, dai 9 mesi attuali a possibili 12 mesi. Mentre il dibattito in Italia (e non solo) si fa sempre più pressante tra obbligo vaccino, Green Pass da estendere e “libertà vaccinale”, l’indirizzo che sembra prendere una parte del Governo potrebbe aprire un paradosso difficile da gestire alla lunga.



Ad oggi, infatti, il vaccino anti-Covid viene identificato più o meno unanimemente con una copertura di efficacia sui 9 mesi: per questo motivo, tra l’altro, la validità del Certificato vaccinale è stata fissata sulla stessa durata. Ora, se si vuole estendere questa “scadenza” ad un anno intero dopo la seconda dose ricevuta, ecco che potrebbero sorgere perplessità in merito alla reale efficacia di protezione di un vaccino 10-11-12 mesi dopo il completamento della vaccinazione. Come conferma un ultimo studio realizzato in Regno Unito, la protezione immunitaria contro il contagio di base dal Covid attribuita ai vaccini Pfizer e AstraZeneca «cala significativamente circa sei mesi dopo la somministrazione della seconda dose, pur continuando a garantire in media una riduzione del rischio d’infezione superiore al 60% e di quello di una malattia grave o di morte ancor più elevato».



GREEN PASS, IL PARADOSSO E I DUBBI

Ieri il Ministro Speranza ha fatto intendere che una terza dose si farà, anticipando addirittura Ema e Aifa che continuano a ritenere l’opzione tutt’altro che decisa (con la scienza divisa al suo interno tra chi parla di semplice richiamo per i più fragili e chi invece invoca una terza dose comunitaria visto l’abbassamento dell’efficacia in tutti i vaccini anti-Covid). Il virologo del San Raffaele Roberto Burioni su Twitter oggi ha provato a spiegare l’importanza di estendere il Green Pass anche a 12 mesi, ammettendo comunque che l’efficacia di protezione inevitabilmente è in calo: «i dati disponibili finora (ultimi quelli di ieri da Kaiser Permanente Research) indicano in maniera univoca il permanere di una altissima efficacia contro la malattia grave, che è la cosa più importante. Comunque meglio un richiamo che un morto in più».



Sembra però aprirsi un ‘sospetto’ all’orizzonte: dato che il tema della terza dose non può che essere legata a doppio filo con la fine della validità del Green Pass, la sensazione è che siccome non può al momento essere garantita a tutti una terza dose di massa (Ema e Aifa non hanno ancora dato l’ok, l’OMS ha intimato l’Occidente a non proseguire con la terza dose se non sono immunizzati in maniera decente tutti i Paesi del Terzo Mondo), allora si pensa ad estendere le scadenze del Green Pass per evitare di dover incorrere in provvedimenti più duri, come zone rosse o peggio ancora lockdown. Anche in questo caso però, come in generale fin dall’inizio della campagna vaccinale, il tema dell’informazione e della comunicazione da parte delle autorità politiche e scientifiche resta problematico: spiegare al meglio, senza “nascondere” la verità dei fatti, è sempre meglio che dover rincorrere l’evoluzione della pandemia modificando le “motivazioni scientifiche” di volta in volta in base alle esigenze che inevitabilmente mutano nel corso anche di poco tempo. Interpellato da Adnkronos Salute, l’immunologo clinico e allergologo Mauro Minelli ammette qualche perplessità in merito alla vicenda: «Da un punto di vista strettamente immunologico sul prolungamento della durata del Green pass in Italia a 12 mesi “non si sta procedendo esattamente secondo i canoni della medicina personalizzata. Capisco che può essere difficile creare un Green pass ‘ritagliato’ sulle condizioni della singola persona, però non possiamo non tenere conto delle diverse storie individuali e dei livelli di immunità che sono stati raggiunti»