Da quando Emmanuel Macron ha nominato il green pass salvatore ufficiale della patria francese, l’onda lunga della panacea verde ha fatto parecchia strada valicando le Alpi. E la certificazione verde è diventata anche in Italia il nuovo centro di discussione. Peccato però che i termini della questione si siano invertiti passando da Parigi a Roma. Quello che laggiù è uno strumento per garantire diritti e libertà, da noi è stato impugnato dal fronte “chiusurista”, l’asse ormai consolidato da un anno e mezzo che tiene assieme l’ex maggioranza politica giallorossa: M5s, Pd e virologi. Per i vecchi nostalgici di Giuseppe Conte e dei Dpcm a raffica, il green pass è l’arma per introdurre nuovi lockdown e altre limitazioni alla libertà degli italiani.



Vero, i contagi stanno riprendendo quota per colpa delle nuove varianti del virus (anche se ieri l’incremento è stato di appena 1.412 nuovi casi). Ma i ricoveri non seguono il medesimo andamento. La differenza rispetto ai mesi scorsi la stanno facendo i vaccini. Non ci sarà ancora l’immunità di gregge, tuttavia l’effetto della campagna vaccinale è visibile: il virus è meno aggressivo, colpisce sì ma morde meno, e i più fragili sono i non vaccinati. La linea delle Regioni e del governo è chiara: cambiato il contesto, deve cambiare anche il criterio per le chiusure. Le coercizioni dei mesi scorsi non possono essere riproposte pari pari, nemmeno attraverso un cavallo di Troia chiamato passaporto vaccinale. La “via italiana al green pass” è diversa dal rigorismo francese che si vorrebbe applicare qui: il suo impiego è utile in certe condizioni (viaggi, luoghi affollati di ritrovo, concerti, discoteche, eccetera) ma diventa un pericolo se “associato ai diritti delle persone”.



Questa posizione è stata espressa pubblicamente da Giancarlo Giorgetti, uno dei ministri più vicini a Draghi, che ne incarna lo spirito di pragmatismo ed equilibrio. C’è un Paese che sta faticosamente riprendendo fiato e che verrebbe stroncato da un nuovo lockdown surrettizio non più in autunno ma in piena estate. Obbligare a usare il green pass appena messo piede fuori dalla porta di casa porterebbe l’Italia nel caos: chi non ha fatto la seconda dose (e ovviamente nemmeno la prima) non potrebbe più andare in vacanza, mangiare una pizza, concedersi una pausa al bar, prendere i mezzi pubblici per recarsi al lavoro.



La posizione di Giorgetti è la stessa espressa ieri sera da Matteo Salvini, entrambi intervistati da Nicola Porro. Il governo dovrà decidere tra giovedì e venerdì, sulla base anche delle indicazioni del Comitato tecnico-scientifico. Come sarebbe possibile indurre in pochi giorni milioni e milioni di italiani a farsi la seconda dose per essere in regola con la mannaia del nuovo green pass, unica possibilità per non dover disdire le prenotazioni delle ferie, per potere continuare a lavorare o, tra meno di due mesi, riprendere la scuola in aula? E dove trovare il personale per l’enorme quantità di controlli (e di sanzioni salate) che il nuovo stato di Covid-polizia dovrebbe prevedere? Senza contare che i più giovani, in ogni caso, non potrebbero ricevere la loro dose di richiamo prima dell’autunno dopo essere stati messi in coda alla lista per favorire l’immunizzazione degli adulti.

I “no vax” non c’entrano: sono questioni di buon senso che faticano a fare breccia tra i giallorossi. Sul green pass Draghi ha al suo fianco il centrodestra di governo molto più che il Pd e i 5 Stelle, due partiti che, ognuno per interessi diversi, continuano invece a seminare ostacoli sul cammino dell’esecutivo.

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