Caro direttore,

i dati impietosi comunicati dall’Inps nelle ultime settimane richiamano a mio avviso la necessità di una profonda riflessione sull’istituto giuridico della malattia retribuita per i lavoratori. L’nps ha segnalato che tra venerdì 15 ottobre, data di entrata in vigore della normativa sul green pass, e il venerdì precedente c’è stato un incremento delle malattie del 18,3% tra i lavoratori dipendenti pubblici e del 21,1% tra quelli privati. Lunedì 18 ottobre l’incremento medio è stato dell’11,2%. La tendenza è poi proseguita nelle giornate successive. Emerge pertanto che decine di migliaia di lavoratori, che non hanno voluto ottenere il green pass nelle forme consentite dalla legge, sono invece tranquillamente riusciti a ottenere dai propri medici di base certificazioni di malattia che li hanno esentati, a volte per pochi giorni, a volte per settimane, dall’attività lavorativa. La malattia deve infatti essere certificata dal medico di base, che è tenuto dalla norma a visitare il lavoratore che chiede di essere esentato dalla prestazione lavorativa, a valutare la prognosi e a comunicare all’Inps tramite portale messo a sua disposizione dall’istituto, la sussistenza della malattia e i giorni di prognosi.



L’istituto della malattia retribuita nasce per sostenere i lavoratori impossibilitati a lavorare per oggettive ragioni mediche e prevede che parte del costo della malattia, a volte il 50% a volte il 66%, sia sostenuto dall’Inps (e quindi dalla collettività) mentre la parte restante dai datori di lavoro. Per alcune categorie (gli impiegati delle aziende industriali e del credito ad esempio) la malattia è interamente a carico del datore di lavoro.



Questa prassi tutta italiana di abusare della malattia ha avuto un picco con l’entrata in vigore della normativa sul green pass, ma non è affatto nuova: poche settimane fa in una pmi con la quale collaboro è stata aperta una rivendicazione sindacale in tema di salari e per rafforzare la propria posizione diversi lavoratori iscritti al sindacato hanno presentato contemporaneamente certificati medici. Ho tranquillizzato il cliente, dovendogli purtroppo dire che è abbastanza normale. Sono sempre numerosi i clienti che mi segnalano di avere dipendenti i quali, non appena vengono assegnati a mansioni che non gli piacciono, a turni meno comodi o gli viene assegnato un carico di lavoro leggermente maggiore del solito si assentano per malattia, regolarmente certificata e pertanto retribuita e di non poter far altro che cedere al ricatto di questi per farli rientrare in servizio. Si arriva a volte a casistiche paradossali, ad esempio un dipendente, al quale è stata consegnata una contestazione disciplinare per furto con annessa sospensione, ha presentato il giorno stesso un certificato di malattia con 20 giorni di prognosi. Un altro dipendente, con due rapporti di lavoro part-time in essere, si fa redigere un certificato di malattia dal medico curante e poi si presenta regolarmente al lavoro dal mio cliente, fermato dal proprio responsabile risponde “io sono in malattia per l’altro, non per voi”.



L’Inps avrebbe la possibilità di effettuare tramite propri medici verifiche sulla reale sussistenza della malattia, sia per propria iniziativa che su richiesta dell’azienda; tuttavia, i medici dell’istituto, probabilmente sotto-staffati, si limitano di regola ad accertare la presenza del lavoratore al proprio domicilio nelle strette fasce di reperibilità, al massimo accorciando di qualche giorno la prognosi del medico di base.

Risulta quindi a mio avviso necessaria una profonda riflessione sulla malattia, che coinvolga innanzitutto i medici di base, che devono essere responsabilizzati, controllati e in caso in cui certifichino malattie senza adeguati accertamenti sanzionati. È poi suggeribile un ampliamento delle verifiche da parte dell’Inps, che, magari incrociando i dati dei certificati di malattia con quelli dei green pass validi, punti ad accertare e sanzionare le malattie false e strumentali. Sarebbe poi opportuno obbligare i lavoratori con malattie lunghe a presentare certificati anche di medici specialistici, che confermino, senza violare la privacy del lavoratore, la gravità della malattia. Potrebbe poi essere ragionevole ridurre la retribuzione per le giornate al lavoratore che, senza gravi patologie e senza invalidità, effettua frequenti assenze per malattia; su questo ci sono alcuni esempi di contrattazione collettiva virtuosa, che riduce, fino ad azzerare, la retribuzione per le prime tre giornate di malattia dopo il terzo evento nell’anno. È poi soprattutto necessario far capire a certi, fortunatamente una minoranza, lavoratori che, abusando della malattia, danneggiano innanzitutto le persone realmente malate, e secondariamente, i lavoratori che, nel rispetto dell’azienda, dei colleghi e della collettività, usano la malattia solo quando effettivamente impossibilitati a lavorare per patologie.

Ritengo infine necessario riflettere sul fatto che esistono milioni di lavoratori, gli autonomi, i co.co.co., i tirocinanti, i praticanti, i piccoli imprenditori, che non hanno nessuna tutela in caso di malattia e che rischiano quindi di perdere la retribuzione per le eventuali assenze dovute a patologie; è forse necessario pensare a modalità per offrire anche a questi una, seppur minima, tutela.

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