Sembra una corsa, o meglio una scommessa contro il tempo. Da un lato c’è il governo, che tiene una linea dura sopratutto con l’appoggio dell’area di centrosinistra, Partito democratico in testa, dall’altra ci sono i partiti di centrodestra e alcuni “battitori” liberi che non riescono a difendere diritti e necessità economiche del Paese dalla formulazione italiana del green pass, quella che è stata ripresa dal nostro governo da quella francese e poi applicata con maggior rigore.
La corsa, o meglio la scommessa, è in fondo chi arriva prima alla percentuale di vaccinati per una sicurezza definitiva contro la pandemia, per una normalità di vita e per una riapertura completa della vita sociale. È evidente che chi si aggiudica questa “gara” diventa il nuovo protagonista della vita politica italiana nel nuovo Parlamento, che prima o poi, al massimo nel giro di due anni, sarà nuovamente eletto.
Quello che appare piuttosto “fastidioso” (per usare un eufemismo) è che si possa fare una scommessa su tutto questo e non si possa arrivare almeno a un accordo ragionato, a una mediazione funzionale, ad agevolazioni per le imprese e i lavoratori nel momento in cui è scattato ieri, 15 ottobre, il primo giorno dell’obbligo del green pass per poter lavorare.
Tutto questo avviene in un momento dove in tutto il Paese si coglie, con molta facilità, una tensione politica per gli avvenimenti di violenza dei giorni scorsi, ma anche frutto di questi anni, per la disarticolazione e dispersione del sistema politico. Una tensione che emerge in occasione del ballottaggio elettorale per l’elezione del sindaco in alcune città, ma che riprenderà subito dopo in vista di altre scelte politiche e della scadenza decisiva per l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica, che alla fine indirizzerà la riforma del sistema elettorale per le prossime elezioni politiche.
Una simile confusione rende difficile affrontare tante scadenze di portata decisiva.
Andiamo quindi con ordine. Il vaccino è stata una conquista che è demenziale mettere in discussione, ma per evitare obblighi che, forse, in casi di emergenza diventerebbero necessari, si è ricorsi a mezzi obbliganti come il green pass, che hanno mobilitato una percentuale composita di italiani calcolabile intorno ai sei o sette milioni di persone che contestano le scelte del governo.
È inevitabile che si debba arrivare a una soluzione, altrimenti tra la linea del governo di cosiddetta “unità nazionale” e la costellazione dei contestatori c’è il rischio di un cortocircuito che può nuocere seriamente al Paese. Quanto può durare il tempo della “scommessa” e quanto è sopportabile la sequenza delle manifestazioni?
Ieri ci sono state una serie di scioperi e raduni di protesta che fortunatamente non hanno bloccato il Paese, come alcuni temevano, ma certamente è stato un rallentamento delle attività che non può durare a lungo. E che probabilmente continuerà nei prossimi giorni.
C’è una guerra di numeri al porto di Trieste, ci sono stati disagi a Genova, manifestazioni di vario tipo in diverse città.
Ma ci sono avvenimenti più inquietanti, sui quali occorre ragionare, che sono molto differenti dai gruppi no vax, come è avvenuto a Domodossola, dove un intero treno merci è stato rimandato in Svizzera. Il convoglio del tipo “autostradale viaggiante” partito da Friburgo in Germania era diretto a Novara attraverso il Sempione. Merci bloccate e ora si temono disagi e ritardi per tutti i treni di questo tipo.
E qui è necessario riportare alcune considerazioni fatte da esperti della logistica su questo momento economico italiano. Damiano Frosi, direttore dell’Osservatorio Contract Logistic “Gino Marchet” del Politecnico di Milano, sostiene che “la logistica è sopravvissuta al 2020 con grande senso di responsabilità, ma adesso c’è il rischio che il comparto imploda, con possibili tensioni sociali in un mondo che da mesi sta tirando la carretta in mezzo a un mare di difficoltà”. E Frosi, di fronte alla situazione della logistica con in più il rincaro delle materie prime, spiega che, senza gli aiuti giusti, il green pass può diventare “pericoloso”.
C’è il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, che dice: “Noi riteniamo che l’obbligo di green pass possa essere fondamentale per dare continuità all’attività svolta dalle nostre imprese, ma crediamo che occorra una semplificazione dei processi di controllo. Se, per esempio, si potessero individuare i dipendenti che sono vaccinati e hanno quindi un green pass con determinate caratteristiche di durata si potrebbe evitare l’obbligo di controllo giornaliero”.
Un altro esperto, Renzo Sartori, presidente di Number1, società leader in Italia nel settore della logistica del grocery, e vicepresidente di Assologistica, sostiene: “Dobbiamo scontrarci ogni giorno con troppi problemi: carenza dell’offerta di trasporto, aumenti dei costi operativi, non solo del trasporto su gomma ma anche dei moli marittimi, tanto che non si trovano neppure i container, e del costo dell’energia, prezzi delle materie prime cha salgono senza freni. Il risultato finale? Una tratta che costava 400 euro oggi è praticamente raddoppiata. E non abbiamo neppure autisti a sufficienza, anzi con l’obbligo del green pass ne avremo ancora meno. La situazione è molto, molto delicata”.
Tutta queste considerazioni non nascono dal nulla, esistono e le spiegano quelli che giocano la partita sul campo. Possibile che non ci sia la possibilità di una via d’uscita che non assomigli a una competizione elettorale?
Si dice ormai da diverse parti che le democrazie non funzionino più. Che siano addirittura sorpassate. Noi sosteniamo il contrario e riteniamo che il confronto è utile per una mediazione, oppure una scelta drastica (obbligo di vaccinazione), motivata bene, non con opinioni che nascono da dibattiti televisivi che sembrano dibattiti tra tifosi. Ripetiamo: quanto può durare una situazione di questo tipo?
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