È sempre alto il quotidiano botta e risposta fra aperturisti e ultras della prudenza. Chi guarda alla confinante Svizzera che ha già abolito il green pass, chi parla di obbligo vaccinale oltre il 15 giugno, di 13 milioni di booster da somministrare, di quarta dose in arrivo e di green pass sine die.

Molti Paesi europei ed extra europei si sono avviati con un deciso cambio di passo verso la fine delle restrizioni, l’abolizione del green pass, e il ritorno alla sperata normalità. In Italia invece dobbiamo fare i conti con i tre decreti legge che il governo ha approvato tra il 24 dicembre e il 7 gennaio, sull’ondata della terribile variante Omicron, motivati dalla “straordinaria necessità e urgenza” di contenimento alla diffusione del virus, considerato il contesto di rischio del momento.



Ma adesso il quadro epidemiologico è cambiato, e i dati su contagi e ospedalizzazioni dicono che non c’è più un rischio proporzionale a quelle misure. Mettiamoci pure che la fiducia degli italiani va scemando perché hanno visto che questi vaccini non proteggono dal contagio e che si sono ammalati anche i boosterizzati.



I due nodi da affrontare riguardano la durata dell’obbligo vaccinale per gli over 50 e la durata del green pass. La frattura fra la linea del rigore a oltranza del ministro della Salute, consigliato dai suoi esperti, e la spinta di una larga parte dell’opinione pubblica, che vorrebbe un ritorno alla normalità, si fa di giorno in giorno più marcata. Il ministro Speranza sostiene che il green pass rimarrà perché “è un pezzo fondamentale della nostra strategia”. Lo stesso presidente Draghi, nella conferenza stampa del 23 febbraio, ha confermato che questa è la strada scelta. “Metteremo gradualmente fine all’obbligo di utilizzo del certificato verde rafforzato” ha detto, facendo capire che gli italiani dovranno esibire almeno un green pass base per un tempo indefinito e chissà per quali attività.



Tornare al rispetto dei diritti

Contro l’utilizzo del green pass, si moltiplicano le prese di posizione e gli appelli per dire basta, sia per le attività economiche, sia riguardo allo stato di diritto. Dopo l’ammonimento di Amnesty International Italia, passato in sordina, un forte appello alle istituzioni viene dal mondo dell’università. Più di 950 docenti, ricercatori, tecnici, hanno sottoscritto un lungo e articolato documento, Universitari e ricercatori contro il green pass, dove si legge: “Il DL n. 1 del 7 gennaio 2022 e tutti i decreti che introducono norme discriminatorie basate sull’obbligo vaccinale non solo violano il principio della libertà di cura e del rispetto della persona umana, ma contravvengono a tutte le principali norme costituzionali, internazionali ed Europee in materia”. Preoccupante è “anche la strategia di estensione dell’obbligo del Super Green Pass, che già si prefigura quale strumento di controllo della vita sociale destinato a sopravvivere alla stessa campagna vaccinale”.

Anche il Comitato Internazionale per l’Etica della Biomedicina (Cieb) ha espresso due pareri sulla politica del governo riguardo alla vaccinazione e le misure correlate. Il primo parere del 20 gennaio 2022 pone l’accento sulla violazione del principio del consenso libero e informato nell’ambito della campagna vaccinale e sull’“introduzione, per scopi evidentemente diversi da quelli sanitari, di strumenti di controllo fondati sulla digitalizzazione della vita dei cittadini”. Il secondo parere del 18 febbraio 2022 richiama l’attenzione “sui rischi collegati e conseguenti all’accettazione acritica del green pass quale strumento di nuova normalità e di nuova socialità, cui taluni tendono ad associare una valenza premiale”. Riguardo alla volontà del Governo di mantenere in vigore il green pass oltre la cessazione dello stato di emergenza sanitaria, si rischia di “legittimare irragionevoli meccanismi di competizione sociale e pratiche discriminatorie lesive di diritti e libertà fondamentali, in aperto ed evidente conflitto con i principi fondamentali della Costituzione repubblicana”. Il Cieb sollecita l’intervento in particolare del presidente della Repubblica, in qualità di rappresentante dell’unità nazionale, per invertire le dinamiche descritte e favorire il ripristino di legami sociali unitari, solidali e inclusivi.

Dei giorni scorsi è anche l’esposto di 25 giuristi al Garante per la protezione dei dati personali, in quanto il trattamento dei dati è utilizzato attraverso il green pass in aggiramento della Costituzione e di tutte le norme sulla privacy. “Durata ed effetti giuridici del pass” si scrive nell’esposto “sono stati definiti e continuamente ridefiniti in maniera discrezionale, a seconda delle esigenze politiche, per modulare determinate risposte comportamentali nella popolazione, attraverso un vastissimo trattamento di dati personali collegato con un meccanismo afflittivo/premiale”. “Non crediamo possa essere tollerato oltre dal sistema giuridico – senza cioè un collasso strutturale – che un trattamento di dati personali sia spinto fino a questo punto di violazione normativa e di lucido perseguimento di obiettivi di castigo, oppressione economica e mentale, umiliazione”. In conclusione, si chiede al Garante di ripristinare lo stato di legalità, conformemente al proprio mandato istituzionale, dichiarando illecito, nella sua declinazione italiana, il trattamento di dati personali “certificazione verde” … ponendo in tal modo fine al più vessatorio, distopico e distorsivo esperimento sui dati personali finora attuato dall’istituzione della Repubblica.

Proporzionalità e limiti di tempo per le misure di emergenza

Sulla legittimità dell’obbligo vaccinale la Corte costituzionale si è già espressa chiaramente. Se ricorrono determinate condizioni, l’obbligo non contrasta con l’articolo 32 della Costituzione (sentenza n.5/2018). E sono ammissibili le sanzioni amministrative pecuniarie per garantirne l’effettività.

Tuttavia, le discriminazioni fra cittadini conseguenti al green pass appaiono sempre più difficili da giustificare fuori da un contesto emergenziale e per un periodo di tempo eccedente rispetto al rischio concreto e attuale.

In altri Paesi la situazione è ben definita anche sul piano giuridico. In Francia, dove il governo ha introdotto un pass vaccinale per tutte le attività che non siano lavoro (eccetto alcune categorie), trasporto pubblico locale e accesso agli uffici pubblici, si è già espresso il Consiglio costituzionale. Nel parere del 21 gennaio 2022 si scrive che tali provvedimenti vanno nell’interesse della salute pubblica al fine di contrastare l’epidemia di Covid-19 e tengono conto degli indicatori sanitari del momento. Devono però “essere rigorosamente proporzionati ai rischi per la salute e adeguati alle circostanze di tempo e di luogo. Vanno interrotti senza indugio quando non sono più necessari”. E così il governo ha dichiarato di voler fare.

In Italia la situazione è più pesante perché i divieti incidono sui diritti fondamentali (lavoro, trasporto pubblico locale, istruzione) e al momento non si capisce neppure quali siano gli indicatori per uscire dalla stretta.

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