Il decreto sul super green pass è stato approvato dal governo all’unanimità: dal 15 ottobre e fino a fine 2021 il certificato vaccinale sarà obbligatorio per privati e dipendenti pubblici prima di entrare nel luogo di lavoro. Il nuovo obbligo, che spetta ai datori di lavoro verificare, non parte però, come erroneamente anticipato da alcuni organi di stampa, male interpretando una nota interna dell’Anma, l’associazione che raccoglie circa mille medici del lavoro, con la loro astensione. “I medici competenti sono in prima fila dall’inizio della pandemia e quindi non si sfilano da nulla. Siamo semplicemente rispettosi della legge, che in questo caso non ci coinvolge affatto, perché il green pass è un certificato autorizzativo, non un atto sanitario, perciò non chiama in causa il medico del lavoro. Come non lo chiama in causa nelle situazioni di obbligo vaccinale dei lavoratori. Anche nel campo sanitario, dove vige l’obbligo di vaccinazione, il decreto 44 non nomina mai il medico competente, proprio perché tutte le procedure sono di tipo ispettivo e amministrativo”. Pietro Antonio Patanè, presidente di Anma, puntualizza così la posizione dei medici competenti in merito all’introduzione dell’obbligo di green pass nei posti di lavoro. Nessun “ammutinamento”, quindi, piuttosto la chiara consapevolezza che “il green pass non rappresenta una misura di tutela per il datore di lavoro. La tutela della salute in azienda continuano a garantirla soprattutto le misure adottate dall’inizio della pandemia: mascherina, distanziamento e igiene delle mani. Anche con la vaccinazione, non vanno abbandonate”.



Perché un medico competente non solo non può, ma addirittura non deve avere a che fare con il green pass?

Non esiste questa facoltà perché si crea un cortocircuito anche rispetto alle norme per la tutela della privacy. C’è una nota del Garante su questo, così come c’è una nota del 1° luglio 2021 della Regione Piemonte, l’unica istituzione finora a essersi espressa in maniera ufficiale, avente ad oggetto “Applicazione art. 4 D.L. 44/2021 convertito in Legge 76/2001: compiti del medico competente”. In quella nota si dice: uno, che la norma non richiama il Dlgs 81/2008 né fa riferimento al ruolo che il medico competente potrebbe avere; due, che il medico competente non può pertanto essere considerato elemento attivo all’interno del processo previsto dal decreto 44: nell’eventuale formulazione di un giudizio di inidoneità il medico competente può considerare solo gli aspetti relativi alla tutela della salute del lavoratore e non quelli inerenti gli aspetti di sanità pubblica tutelata dallo stesso decreto. Inoltre, non è ipotizzabile, ai sensi del Dlgs 81/2008, che i lavoratori siano sottoposti a visita per verifica/aggiornamento dell’idoneità richiamando il dato vaccinale, non configurandosi alcuna variazione o nuova esposizione al rischio. Se la visita non è in scadenza, il medico competente non può rivalutare l’idoneità dei soggetti non vaccinati, tramite visite straordinarie, richiamandosi alla legge 76/2021. Noi prendiamo atto di tutto questo.



Dovesse però essere richiesto un vostro intervento o coinvolgimento attivo, come vi comportereste? Fareste i “controllori” del green pass in azienda?

Parlare di controlli è generico, è un po’ come dire che per entrare in azienda ai tornelli potrebbe esserci il medico competente. È una situazione che non può accadere. Innanzitutto, perché il medico competente lo è di varie aziende, quindi sarebbe materialmente impossibilitato a svolgere questo compito. Si potrebbe parlare al massimo di coinvolgimento.

In tal caso?

Toccherà al legislatore spiegare a che livello si esplica questo coinvolgimento, se potrà essere formativo/informativo o più cogente. Noi siamo sempre rispettosi della legge.



In campo formativo/informativo che cosa potrebbe fare il medico competente?

Questo ruolo lo stiamo svolgendo già da tempo, nel senso che promuoviamo la campagna vaccinale per i lavoratori. Tuttora, quando incontriamo i lavoratori nel corso delle visite mediche periodiche, se incontriamo soggetti che hanno dubbi, legittimi o meno, sui vaccini, ci facciamo carico di un lavoro di counselling per portare almeno a consapevolezza di quali siano le ragioni per vaccinarsi.

A livello di cogenza?

Difficile immaginarlo, perché – ripeto – far rispettare l’obbligo del green pass è un atto amministrativo, con sospensione dal lavoro per chi elude la prescrizione. Vedo poco un ruolo del medico competente.

Perché, secondo voi, il green pass non rappresenta una misura di tutela per il datore di lavoro?

I termini di sicurezza per un datore di lavoro sono relativi all’osservanza di tutte le norme, soprattutto di quelle del protocollo per il contenimento della pandemia adottate finora, vale a dire, mascherina, distanziamento e igiene delle mani, protezione del lavoro fragile. Su questo il datore di lavoro è chiamato a rispondere, come anche nell’applicazione di queste nuove misure come il green pass. Tutte vanno nella stessa direzione.

C’è chi propone tamponi ogni 48 ore per i lavoratori che non si vaccinano. È una misura attuabile?

Aspettiamo prima di vedere quanti saranno i lavoratori che non vogliono vaccinarsi e poi come potranno accedere ai centri per i tamponi in maniera agile, ordinata, ogni 48 ore. Non è una cosa semplice, soprattutto qualora i numeri fossero importanti.

Che giudizio si sente di dare su vaccini e green pass?

Sulla vaccinazione abbiamo preso posizione non teorica, ma pratica, impegnandoci in maniera totale. Il green pass è una misura di natura più “politica”. Ne condividiamo il fine, cioè l’allargamento della campagna vaccinale. Detto questo, ci sono troppi filosofi che si improvvisano scienziati e troppi scienziati che si improvvisano filosofi. Non vorrei entrare in questo conteggio.

Quindi che ruolo svolge oggi il medico competente nell’azione di contrasto alla diffusione del Sars-Cov-2 e per la salute e sicurezza sul posto di lavoro?

Il nostro lavoro abituale di tutela dei lavoratori è ripreso a pieno regime. E a dimostrazione che le aziende sono ancora focalizzate sulle misure di contenimento dell’epidemia previste dal protocollo, noi periodicamente facciamo un check assieme alle aziende sul rispetto o meno di queste misure. In secondo luogo, ci impegniamo in un lavoro di tracciamento dei contatti in caso di presenza di casi positivi in azienda. Terzo: svolgiamo un’azione di protezione dei lavoratori fragili. Quarto: siamo a completa disposizione per fare formazione e dare informazioni sui vaccini.

Alla luce della sua esperienza, a prescindere dall’introduzione dell’obbligo di green pass nei luoghi di lavoro e in piena campagna vaccinale, come valuta il livello di sicurezza anti-Covid e tutela della salute nelle aziende italiane?

Rispondo per esperienza diretta: là dove le aziende hanno preso sul serio e prendono ancora sul serio le norme del protocollo, il contenimento funziona appieno. Si arriva a contenere, si arriva a tracciare, si arriva a prevenire. Il protocollo, anche se è in atto una vaccinazione a tappeto, non va assolutamente abbandonato.

(Marco Biscella)

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