In Gran Bretagna il green pass obbligatorio avrebbe dovuto entrare in vigore entro fine mese, tutti attendevano la conferma del governo, invece poco più di 24 ore fa il premier Boris Johnson, per bocca del ministro della Sanità britannico, Sajid Javid, ha annunciato di aver abbandonato l’idea di imporre un passaporto vaccinale per entrare in discoteche, cinema e impianti sportivi. Johnson ha spiegato la scelta ricordando che “la copertura vaccinale raggiunta dalla Gran Bretagna è sufficiente per contrastare una eventuale ondata invernale”, anche se il green pass potrà diventare obbligatorio in autunno o in inverno, qualora la situazione del Covid dovesse peggiorare notevolmente. Ma l’abbandono dell’obbligo del green pass, secondo Claudio Martinelli, professore ordinario di diritto pubblico comparato nell’Università di Milano Bicocca, trova la sua giustificazione non solo nelle ragioni sanitarie, ma anche in quelle culturali (la tradizione del common law garantisce “sfere di autonomia del singolo nei quali lo Stato può entrare in punta di piedi e solo quando è strettamente necessario”) e politiche (“la contrarietà al passaporto vaccinale non riguarda solo i banchi dell’opposizione, ma attraversa anche lo stesso partito conservatore di Johnson, diviso al suo interno”).



Perché Johnson ha deciso di fare marcia indietro sull’obbligo del green pass?

In Gran Bretagna, storicamente, vige una cultura molto diversa rispetto a quella eurocontinentale, che in generale nel rapporto tra cittadino e Stato e in particolare per il Covid si riverbera anche sul tema della documentazione che un cittadino deve presentare allo Stato. Abbiamo cioè un humus culturale che incontra qualche difficoltà a intervenire con questi strumenti.



Il governo Johnson, però, fino a 48 ore fa era sembrato disponibile a superare queste ataviche diffidenze. Poi il cambio repentino. Come mai?

Su questo quadro culturale, si è innestato anche un problema politico non da poco.

Quale?

Il governo a un certo punto si è reso conto non dico di poter essere battuto in Parlamento, ma certo di incontrare un’opposizione politica molto forte.

Come sono schierati i partiti? Chi è favorevole al green pass e chi contro?

La contrarietà al passaporto vaccinale non riguarda solo i banchi dell’opposizione, ma attraversa anche lo stesso partito conservatore di Johnson, diviso al suo interno. Divisioni che non vanno però troppo enfatizzate.



Perché?

Esiste una vis actractiva del governo. Molti parlamentari, che possono avere qualche mal di pancia più o meno accentuato, poi alla fine sono leali al governo e al premier. Anche perché bisogna sempre ricordare che l’attuale Camera dei Comuni è “figlia” delle elezioni del dicembre 2019, volute da Boris Johnson e stravinte dal partito conservatore di Boris Johnson.

Quindi?

Per tutto l’arco della legislatura molti parlamentari si sentiranno nella condizione di essere leali al premier.

I malumori esterni e interni hanno dunque costretto il governo a riflettere sul certificato vaccinale.

Il governo, messe sulla bilancia da una parte le ragioni che lo avevano portato a immaginare il green pass e dall’altra le ragioni culturali e le incognite politiche accennate prima, ha cambiato idea repentinamente, a poche ore dalla conferma del provvedimento.

In che modo la common law “esprime” il senso di libertà degli inglesi da cui deriva l’avversione verso documenti ed eccessi della burocrazia?

Senza entrare nel dettaglio, il sistema giuridico britannico, in estrema sintesi, nasce sull’idea di un rapporto paritario tra il cittadino e lo Stato. Sebbene si chiamino tecnicamente ancora così, “i sudditi di Sua Maestà britannica” da tempo immemorabile godono di una sfera di autonomia dallo Stato che è garantita dalla tradizione giuridica inglese, definita appunto common law, che risale addirittura all’epoca pre-normanna, riflettendo alcuni princìpi fondamentali della cosiddetta lex Angliae, la legge delle tribù che abitavano i territori a sud del Vallo di Adriano, ma che è arrivata, attraverso diversi cambiamenti, fino ai giorni nostri. A non mutare mai, anzi si è via via arricchito, è proprio l’elemento fondante: fra cittadino e Stato c’è un rapporto fra pari, non un rapporto autoritativo.

Con quali conseguenze?

Lo Stato non può pretendere quello che vuole, esistono delle sfere di autonomia del singolo nelle quali lo Stato può entrare solo in punta di piedi e solo quando è strettamente necessario.

Nel caso del Covid?

Di fronte a un’epidemia come questa e a situazioni che non possono essere normate preventivamente e totalmente, è chiaro che questi confini diventano più mobili. È successo per esempio con il lockdown, espressione di questa mobilità dei confini: lo Stato autoritativamente coarta determinate libertà personali. Questo può essere fatto, certo, ma soltanto rispettando una serie di caveat, di garanzie e soprattutto di limiti tutti legati alla situazione concreta. Ecco perché, tenendo conto di tutto quello che abbiamo finora detto, è stato lo stesso governo a tirare indietro il paletto.

L’intenzione di rendere obbligatorio il passaporto vaccinale che dibattito ha prodotto nel paese?

Mi sembra di poter tracciare una differenza abissale rispetto al dibattito che si è sviluppato in Italia.

In che senso?

In Italia, in modo improprio e giuridicamente sbagliato, il dibattito si è articolato sull’idea della discriminazione: non possiamo discriminare chi non è vaccinato.

In Gran Bretagna invece?

Il dibattito non è che non tenesse conto di questo elemento, ma anziché essere totalizzante, era recessivo rispetto a un altro tipo di argomentazione: lo Stato invasivo che mi chiede di dimostrare una cosa mia. Un’idea difficile da accettare per gran parte degli inglesi. E questa non accettazione deriva, anche ma non solo, dall’ascendente culturale alla base della common law.

Secondo lei, con questa retromarcia il governo inglese vuole privilegiare l’attività economica a scapito della salute, accogliendo così le richieste del mondo degli affari?

È molto discutibile, perché il green pass serve esattamente a far ripartire l’economia, non a bloccarla.

Qualora la situazione epidemica fosse peggiore, come ammesso dal ministro della Salute Javid, Johnson non esiterebbe a introdurre il green pass?

Sì. E lo dimostra proprio il fatto che la legge era un passo dall’essere varata.

L’Inghilterra non procede sul green pass, la Scozia invece lo renderà obbligatorio dal 1° ottobre. Come si spiega questa diversità di vedute e di decisioni?

Nell’ordinamento costituzionale britannico, la salute, in particolare dall’inizio della pandemia, è una devolution matter, una materia devoluta. Ciò significa che il governo di Londra e il Parlamento di Westminster stanno svolgendo una funzione di coordinamento e di cornice legislativa complessiva. Nel marzo 2020 il Parlamento di Westminster ha approvato il Coronavirus Act, con validità su tutto il Regno Unito, lasciando però che tutte le decisioni di governo e di contrasto della pandemia fossero appannaggio dei governi devoluti. I quali hanno approvato loro leggi, prevedendo scelte diverse da quelle adottate per il solo territorio dell’Inghilterra.

Come hanno deciso di muoversi Galles e Irlanda del Nord?

In merito al green pass, il Galles ha in programma oggi una riunione dei ministri per prendere una decisione, mentre in Irlanda del Nord non è ancora alle viste uno schema di questo tipo.

All’inizio si diceva che il governo Johnson sul green pass ha cambiato idea repentinamente. È la dimostrazione che il sistema inglese mostra un elevato livello di pragmatismo e una grande capacità di adattarsi anche velocemente all’evolvere della situazione?

Indubbiamente sì. La capacità di adattarsi rapidamente e in modo pragmatico è una delle caratteristiche peculiari del sistema costituzionale e politico britannico.

Ma molti osservatori, anche inglesi, sono rimasti sconcertati dal voltafaccia improvviso…

Attenzione: che il governo non abbia fatto una bella figura cambiando idea da un giorno all’altro, è vero, ma questa è una valutazione politica che gli elettori, l’opinione pubblica e i partiti dell’opposizione faranno. Altro discorso è chiedersi: il sistema costituzionale e politico britannico ha gli strumenti per adattarsi velocemente ai cambiamenti? Sì, li ha. Poi, come vengono utilizzati e se vengono utilizzati bene o male è un giudizio che spetta dare di volta in volta a seconda delle situazioni.

(Marco Biscella)

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