Alla conferenza stampa del governo che deve annunciare l’estensione del green pass per scuole, università e trasporti Mario Draghi non c’è. Da appuntamento politico, l’incontro con i giornalisti viene declassato a passaggio tecnico di cui tre ministri sono incaricati di illustrare i dettagli. Il compito di spiegare le decisioni del governo è affidato a Patrizio Bianchi, Enrico Giovannini e Roberto Speranza, tre ministri che non sono proprio nella manica di Draghi: del titolare della Sanità si sapeva, mentre gli altri due si stanno dimostrando tutt’altro che pie’ veloce nell’affrontare le emergenze della scuola e dei trasporti. Per Draghi meglio prendersi una pausa mediatica.



In questo modo il premier vuole anche sottolineare che le decisioni di ieri non sono una novità rispetto a quando il passaporto vaccinale è stato trasformato nel lasciapassare più o meno universale per la vita pubblica in Italia. Anzi, ne sono la prosecuzione. Come dice Speranza, il nuovo decreto legge “punta sullo strumento del green pass per gestire questa fase epidemica”. Non ci sono ripensamenti nel governo, neppure davanti all’ondata di proteste che soltanto in parte sono ideologiche o filosofiche.



Nonostante la vaccinazione di massa, infatti, il contagio sta riprendendo anche se l’emergenza nei reparti ospedalieri è fortunatamente lontana. Significa che, in una percentuale ancora sconosciuta ma non per questo pari a zero, una quota degli immunizzati è portatrice sana del virus e quindi i vaccini (e di conseguenza il green pass) non sono affatto la panacea dipinta dalle autorità istituzionali e non garantiscono assenza di contagi.

Peraltro la Fondazione Gimbe ha rilevato un rallentamento nella crescita di nuovi casi, avvenuto naturalmente prima di oggi, quando il green pass viene introdotto a tappeto. Quello che invece preoccupa è un altro aspetto evidenziato dalla Fondazione, cioè che i vaccini sarebbero insufficienti a mantenere il ritmo. Su questo, però, Speranza dissente: al contrario, ci sarebbero dosi a sufficienza anche per fare la terza dose al personale sanitario e alle categorie fragili.



Le contraddizioni nel provvedimento sono numerose. Un esempio per tutti: se si è seduti a un tavolino esterno il green pass non serve, ma se nell’altro angolo della piazza va in scena uno spettacolo all’aperto, sì. Fatto sta che la grancassa governativa elegge il documento a passepartout per aprire le porte delle scuole e delle università. I minorenni non vaccinati potranno farsi il tampone in farmacia, per il quale il governo ha deciso un “prezzo politico” di 8 euro fino a 18 anni e 15 per gli altri. Niente test gratuiti, dunque, come aveva chiesto la Lega tra gli altri. Il partito di Matteo Salvini perde sulla scuola e alla fine ottiene solo il rinvio al 1° settembre per il green pass sui trasporti: scatterà l’obbligo per navi e traghetti interregionali, treni e autobus a lunga percorrenza, non però per le metropolitane e i convogli regionali.

Pugno di ferro, viceversa, per i luoghi di istruzione con l’obiettivo di ripartire a settembre in presenza ovunque. Il pass obbligatorio (vaccini o tamponi) per il personale scolastico e universitario non significa didattica a distanza per chi non si adegua, come sembrava alla vigilia: il mancato rispetto delle disposizioni sarà considerato assenza ingiustificata e, a decorrere dal quinto giorno di assenza, il rapporto di lavoro verrà sospeso così come lo stipendio. Per ognuno ci sarà l’obbligo della mascherina. La Dad sarà autorizzata soltanto in casi eccezionali.

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