Dopo che la commissione per le libertà civili (Libe) del Parlamento europeo con 52 sì, 23 no e 3 astenuti ha dato il via libera all’accordo sul Green pass Ue, raggiunto al trilogo negoziale fra le tre istituzioni europee, e in attesa che il testo approdi alla plenaria dell’Europarlamento in programma dal 7 al 10 giugno, la Grecia ha già presentato nei giorni scorsi la sua piattaforma per il certificato digitale europeo Covid, diventando così uno dei primi Paesi Ue a partire.
I Green pass Ue faciliteranno la libera circolazione in Europa in estate nonostante la pandemia da coronavirus. Il certificato Ue, che sarà gratuito a partire dal prossimo 1° luglio, sarà disponibile in formato digitale o cartaceo, in tre varianti: uno per la vaccinazione, uno per la guarigione e uno per la negatività da test molecolare. Ma cosa prevede l’Eu Digital Covid Certificate? Andrà a sovrapporsi con il green pass italiano? Tutelerà la privacy dei cittadini? Lo abbiamo chiesto al professor Giacomo Di Federico, ordinario di Diritto dell’Unione europea all’Università di Bologna.
Su quali basi l’Unione europea ha deciso di arrivare a un green pass vaccinale?
Occorre partire dal fatto che l’Unione europea non è un super-Stato, è un’organizzazione internazionale sui generis.
Cosa significa?
Significa che si regge sul principio fondamentale di attribuzione, in base al quale l’Unione gode unicamente delle competenze che le sono espressamente attribuite dagli Stati e che ritroviamo nei Trattati. Quindi tutte le volte che, come in questo caso, a livello di Unione si decide di intervenire con una misura, lo si fa perché c’è una norma che lo giustifica: in questo caso è l’articolo 21, paragrafo 2 del Trattato di funzionamento dell’Unione europea.
Che cosa prevede questo articolo?
Disciplina un istituto molto importante: quello della cittadinanza. E proprio in base a questo articolo la Commissione ha proposto a Parlamento e Consiglio l’adozione di un regolamento sul certificato Ue Covid-19.
Questo perché?
Perché la norma prevede la possibilità di intervenire a livello di Unione per migliorare, non stravolgere, la libera circolazione dei cittadini, che resta un diritto fondamentale di tutti i cittadini di tutti gli Stati membri.
Ma qui si tratta anche di un problema di salute, materia nella quale la Ue non ha specifiche prerogative, visto che la sanità è competenza dei singoli Stati.
Salvo quando si tratta di definire i livelli di qualità e sicurezza dei medicinali ad uso umano o dei dispositivi medici, in materia di salute pubblica la Ue non ha che una competenza di sostegno, parallela a quella degli Stati membri. L’Unione si limita a coordinare, fornire assistenza e orientare l’azione statale, senza però disporre di alcun potere di armonizzazione. Ma in questo caso c’è un contatto molto stretto tra cittadinanza e salute: si parla di certificati che attestano la guarigione, la vaccinazione, la validazione di test molecolari, eppure la base giuridica prevalente è l’articolo 21, che consente appunto l’adozione di un regolamento. E così ha deciso di procedere la Commissione.
Qual è la ratio giuridica del green pass Ue?
L’idea di partenza è utilizzare il meccanismo del mutuo riconoscimento, evitando che ogni Stato si muova per proprio conto, come all’inizio della pandemia. Si cerca di definire un quadro giuridico solido, fondato su evidenze scientifiche e sulla protezione dei dati personali e quindi dei diritti fondamentali, in modo da limitare al massimo la discrezionalità degli Stati, che comunque rimangono competenti in materia di salute pubblica, e favorire il più possibile la libera circolazione dei cittadini. Non si va molto più in là di questa opera di coordinamento, a cui si aggiunge un’opera di armonizzazione nel momento in cui si andranno a definire contenuto e funzioni del certificato, o meglio dei certificati.
Perché al plurale?
Perché in realtà c’è il certificato che attesta l’avvenuta vaccinazione, quello che attesta l’avvenuta guarigione e quello che attesta il referto del test molecolare antigenico. Ciascuno avrà tempistiche diverse, autorità diverse per il rilascio e durate diverse.
Il Green pass entrerà in vigore il 1° luglio. I tempi sono stretti?
In assenza di una previsione specifica al riguardo, un regolamento Ue entra in vigore dopo 20 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale europea. La proposta prevede che possa entrare in vigore dopo tre giorni, cercando di avere una procedura estremamente rapida, perché è interesse di tutti gli Stati assicurare che ci sia un quadro giuridico chiaro che consenta la ripresa economica e salvi il turismo.
Come si ottiene il Green pass Ue?
E’ una questione di piattaforma, regolamentata a livello di Unione: i diversi sistemi, che potranno “parlare” tra loro, riconosceranno i green pass nazionali come pass Ue, se risponderanno ovviamente a determinate specifiche tecniche.
La proposta di un green pass è stata formulata il 17 marzo, trasmessa poi ai Parlamenti nazionali, che non hanno sollevato obiezioni a livello di violazione del principio di sussidiarietà. Il Parlamento europeo invece ha evidenziato diverse criticità. Quali?
E’ stata criticata la possibilità che gli Stati rimangano comunque liberi di prevedere restrizioni.
E ha raggiunto l’obiettivo?
No, anche perché il Trattato è molto chiaro. Ma il Parlamento europeo ha giustamente chiesto e ottenuto che sui test, che hanno per i cittadini un costo non indifferente, sia garantito un fondo minimo. Così sono stati individuati 100 milioni di euro che non renderanno i test gratuiti, ma contribuiranno ad abbattere i costi, secondo modalità che devono ancora essere definite.
Con l’adozione del Green pass europeo i Paesi Ue non potranno più imporre ulteriori restrizioni di viaggio, come la quarantena, l’autoisolamento o i tamponi, «a meno che tali misure non siano necessarie e proporzionate per salvaguardare la salute pubblica» in risposta alla pandemia di Covid. Chi stabilisce questo? La Ue o i singoli paesi?
La norma del regolamento che prevede la possibilità di ulteriori restrizioni, con nuovi test o quarantena, in caso di presenza di cluster, obbliga gli Stati a notificare alla Commissione ogni misura, che non può quindi essere adottata unilateralmente, né arbitrariamente, cioè deve essere giustificata da basi scientifiche. Quindi deve essere una misura adeguata al raggiungimento del fine, che è la tutela della sicurezza e della salute pubblica, e proporzionata, vale a dire non può andare oltre quanto strettamente necessario. In pratica, ogni Stato dovrà indicare i motivi epidemiologici che rendono necessarie le restrizioni, quali misure restrittive vengono adottate, per quanto tempo, a quali viaggiatori e se sono previste esenzioni, per esempio per i bambini o per fasce d’età non vaccinabili. Al momento sono questioni ancora da definire tecnicamente.
In tal caso il Green pass Ue diventa inutile o non valido?
Il Green pass è sempre valido, perché realizza l’armonizzazione dello strumento, individua i dati che vanno inseriti nel certificato rendendolo un documento, definito a livello sovranazionale, che “prova” che si è guariti o che si è vaccinati o che si è negativi sulla base di un test. Resta però il problema che uno Stato, in caso di emergenze epidemiologiche dimostrate, va in deroga e può imporre ulteriori restrizioni.
A quel punto cosa può succedere?
Uno Stato non può fare quel che vuole, perché il regolamento disciplina come, quando e dove può dire: ok al Green pass, però ho bisogno di controlli aggiuntivi. Se uno Stato dovesse discriminare immotivatamente e arbitrariamente, ponendo barriere all’ingresso non legate all’emergenza Covid, la libera circolazione dei cittadini, in questo caso violerebbe un diritto sacrosanto dell’Unione e potrebbe incorrere in un ricorso per infrazione.
Potrebbero crearsi sovrapposizioni con il Green pass italiano?
Il Green pass Ue è assolutamente complementare al green pass italiano, che può, non solo, essere utilizzato solo in situazioni di emergenza, cioè quando ci sono problemi di spostamento verso regioni arancioni o rosse, ma presenta anche un valore aggiunto: consente l’accesso a cerimonie, matrimoni, Rsa, teatri, cinema, biblioteche. Il che non significa che lo Stato nazionale non possa riconoscere la stessa valenza anche al pass europeo. Teniamo conto del fatto che il regolamento Ue per una serie di profili è ancora incompleto e dovrà essere integrato all’interno di un confronto con gli Stati membri.
Che cosa deve garantire l’Italia ai fini dell’utilizzo del certificato Ue Covid?
Vanno garantiti entro fine giugno determinati standard in fatto di sicurezza e di interoperabilità del sistema.
“Ora gli Stati membri avranno un ruolo chiave nel garantire che i sistemi sanitari nazionali ricevano le informazioni sullo stato di salute dei cittadini in modo che il certificato possa essere rilasciato”, ha precisato Ursula von der Leyen. Ci sono problemi di privacy e di gestione di dati sensibili?
C’è un Gdpr che regolamenta con precisione come proteggere i dati personali. Ma la presenza di questi dati nel certificato vaccinale non implica automaticamente che ci sia una violazione. Quando noi circoliamo, infatti, i nostri dati viaggiano con noi. Il problema è garantire la sicurezza della rete contro eventuali cyber-attacks e consentire l’accessibilità ai dati solo alle persone autorizzate. Inoltre i dati vanno processati solo per quella finalità e vanno conservati solo per il tempo necessario. Rispettando questi criteri, il Green pass Ue potrà assicurare la tutela della riservatezza.
(Marco Biscella)
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