C’è attesa per il board della Banca centrale europea in programma giovedì dal quale potrebbero arrivare alcune indicazioni sugli strumenti che si vorranno mettere in campo alla scadenza del programma di acquisto di titoli di stato Pepp che ha aiutato molto l’Italia durante i mesi successivi all’inizio della pandemia Covid. “Abbiamo bisogno di essere molto flessibili e di non iniziare a creare anticipazioni che l’uscita sarà nelle prossime settimane o mesi”, ha detto Christine Lagarde in un’intervista a Bloomberg Tv. C’è peraltro attesa per avere ulteriori dettagli sulla revisione del target inflazionistico decisa nelle scorse settimane e che porterà a non contrastare immediatamente livelli superiori al 2% in tutta l’Eurozona. Le future mosse dell’Eurotower, spiega l’ex ministro delle Finanze e per il Coordinamento delle politiche comunitarie Francesco Forte, porteranno a “una politica monetaria flessibile in questo momento essenziale anche perché un po’ di inflazione aiuterà a ridurre la dimensione dei debiti pubblici”.



Un ulteriore aiuto dunque all’Italia che non sarà di certo gradito dai cosiddetti “falchi”…

Non è proprio così. Finora, infatti, i Paesi frugali hanno invocato rigidità finanziarie, soprattutto monetarie. La situazione, dopo la pandemia, è però cambiata. Il rallentamento dell’economia ha fatto crescere anche i deficit di questi Stati e dunque i nuovi criteri di intervento della Bce avvantaggeranno anche loro. Resta comunque vero il fatto che l’Italia ha abusato del debito pubblico e che, utilizzando il sistema della public-private partnership, potrebbe cominciare a limitarne l’aumento. Dobbiamo cercare di essere il meno esposti possibile a ondate speculative sul mercato secondario dei titoli di stato che potrebbero esserci nei prossimi mesi.



Quale potrebbe essere la causa di queste ondate speculative?

Si è parlato molto dei Btp venduti da Deutsche Bank nel 2011 che sarebbero stati all’origine del forte aumento dello spread fino a quota 500. C’è chi vi ha visto una manovra volontaria per mettere in difficoltà l’Italia di Berlusconi, ma molto più semplicemente credo che in realtà il colosso tedesco, che aveva problemi che ancora non ha del tutto superato, avesse necessità di liquidità e abbia quindi proceduto alla vendita. Oggi potrebbe accadere qualcosa di simile, perché gli investitori esteri finanziari potrebbero liquidare le posizioni sull’Italia per avere risorse necessarie ad aiutare il modello renano in crisi. A questo scopo potrebbero essere anche utilizzati i risparmi italiani gestiti da società e banche francesi attraverso le loro controllate nel nostro Paese. Abbiamo purtroppo questa colonizzazione, senza dimenticare quella cinese avviata grazie a M5s.



Professore, quello che ha detto solleva almeno due domande. La prima: a proposito di M5s e dei suoi rapporti con la Cina, lei crede che cercherà di creare trappole e insidie al Governo “atlantista” di Draghi?

Può darsi, ma sarebbe una tattica destinata ad avere scarso successo. Draghi e gli altri partiti possono mettere alle corde i pentastellati e costringerli ad accettare le loro condizioni. Se infatti uscisse dall’esecutivo, M5s sparirebbe.

Passiamo alla seconda domanda: ha parlato di crisi del modello renano. A che cosa si riferisce?

Quello che è avvenuto in Germania nei giorni scorsi ha messo in luce la fragilità di un modello economico che è diffuso nei Paesi dell’Europa centrale e che ha il suo simbolo nell’industria che storicamente si è diffusa sulle rive del Reno. Una fragilità che nei prossimi anni, con i cambiamenti climatici, potrebbe aumentare. Pensiamo a tutti quei Paesi che hanno sviluppato attività fiorenti lungo i fiumi o più esposti all’innalzamento degli oceani, come per esempio l’Olanda.

Il modello renano comprende anche Francia?

Sì, l’organizzazione delle attività di questi Paesi, lungo i fiumi, anche solo come vie di comunicazione, o in riva al mare, rischia di essere superata dalla variabile climatica. Si tratta di un modello in crisi.

La variabile climatica non minaccia anche l’Italia?

Non allo stesso modo, economicamente parlando. Anche perché essendo sostanzialmente il Mediterraneo un mare chiuso non subisce lo stesso innalzamento degli oceani.

Resta il fatto che proprio per limitare gli effetti climatici l’Ue ha appena approvato un piano che prevede la drastica riduzione delle emissioni di CO2…

Questa accelerazione aiuterà a limitare gli effetti dei cambiamenti climatici, ma non risolve il problema del modello renano. I Paesi interessati dovranno fare dei cambiamenti importanti che vanno oltre la riduzione delle emissioni di CO2 della loro industria: si tratta proprio di riposizionarla fisicamente. Forse potranno farlo in parte sfruttando il Next Generation Eu.

Si sta discutendo comunque molto dei costi che il piano europeo avrà, anche per le imprese. Lei cosa ne pensa?

In Italia siamo senz’altro avanti rispetto ad altri Paesi nella produzione di energie rinnovabili. Certamente servirà uno sviluppo tecnologico importante in diversi comparti che sarà costoso. Si potrà forse discutere della velocità con cui attuare questi cambiamenti, ma chi pagherà di più sarà il modello renano.

(Lorenzo Torrisi)

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