La Ong ambientalista Greenpeace è stata citata in giudizio dalla compagnia petrolifera Shell in merito ad una protesta che gli attivista avrebbero condotto a gennaio di quest’anno a bordo di una piattaforma petrolifera che si trova in mare. Si tratta dell’ennesimo capitolo di una lotta in tribunale che fino ad ora ha portato gli ambientalisti a chiedere la condanna (negata dall’Alta Corte londinese) degli 11 dirigenti della compagnia per via delle loro strategie climatiche sbagliata.



Secondo Greenpeace, Shell usa tattiche “aggressive” per “mettere a tacere il crescente dissenso per le mosse dell’Ad Wael Sawan al fine di raddoppiare gli investimenti nei combustibili fossili”. La compagnia, inoltre, è stata condannata da un tribunale olandese, su denuncia della Friends of the Earth, a ridurre le sue emissioni del 45% entro il 2030, in quella poi definita un sentenza storica. Questa volta, però, è stata Shell ad intentare causa contro Greenpeace, in merito alla protesta di gennaio, quando alcuni attivisti raggiunsero in barca una piattaforma petrolifera. Una volta saliti a bordo, hanno tirato fuori i loro cartelloni, denunciando lo sfruttamento della risorsa inquinante e costringendo la compagnia ad adottare maggiori misure di sicurezza.



La risposta di Greenpace alla citazione in giudizio da parte di Shell

In base alla denuncia presentata da Shell contro Greenpeace, la volontà è quella di chiedere 2,1 milioni di dollari alla Ong ambientalista per risarcimento dei danni causati in occasione della protesta, chiedendo anche l’interruzione di ogni tipo di protesta simile sulle piattaforme petrolifere. Secondo la compagnia, infatti, “si tratta di impedire attività in mare o in porto che potrebbero mettere in pericolo la vita delle persone, niente di più. Il diritto a protestare è fondamentale e lo rispettiamo, ma deve essere fatto in modo sicuro e legale”.



Commentando la citazione in giudizio, Yeb Saño, direttore esecutivo di Greenpeace Southern Asia, ha sottolineato che “Shell sta cercando di mettere a tacere le mie legittime richiesta: fermare la sua insensata e avida ricerca di combustibili fossili, assumendosi la responsabilità della distruzione che sta causando al mondo”, sottolineando anche che “mi rifiuto di smettere di combattere per la giustizia climatica”. Opinione simile a quella di Areeba Hamid, co-direttrice esecutiva di Greenpeace UK, che ha accusato la Shell di “cercare di distruggere la [nostra] capacità di fare campagna. Abbiamo bisogno che questo caso venga respinto e che Shell venga regolamentata perché è chiaro che Sawan vuole fare profitti senza badare ai costi umani”.