Le manette hanno tintinnato ieri in Senato per Matteo Salvini. La Giunta delle immunità di Palazzo Madama ha dato il via libera al processo per l’ex ministro dell’Interno accusato di sequestro di persona quando impedì alla nave Gregoretti di attraccare subito in un porto italiano: un’imputazione che potrebbe costare fino a 15 anni di carcere. Risultato prevedibile? Sì, prevedibilissimo, stando alle posizioni dei partiti dichiarate alla vigilia. Ma il modo in cui si è arrivati al voto è frutto di una trama politica al limite dell’assurdo.



Nei giorni scorsi Pd e M5s volevano rinviare il voto fissato per ieri. Il calendario è stato deciso grazie al fatto che si è esposta la presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, il cui voto vale doppio. La Casellati era contraria al rinvio ed è stata accusata di mancata imparzialità. La Lega, infatti, voleva a tutti i costi che la Giunta decidesse così da trasformare Salvini in una vittima sacrificale nell’ultima settimana di campagna elettorale per le regionali. Annusato il trappolone, la maggioranza di governo ha tentato la marcia indietro.



Fallito il blitz del rinvio, all’asse Pd–M5s non è rimasto che disertare la seduta della Giunta. Dopo aver criticato la presidente del Senato per presunta insensibilità istituzionale, ora vedono ritornare l’accusa come un boomerang: avere snobbato la Giunta è un modo per ridicolizzare le istituzioni, o quantomeno piegarle ai propri interessi. Non è che il centrodestra abbia fatto diversamente, ma almeno ci ha risparmiato la predica moralistica sulla difesa della Repubblica.

In Giunta si sono ritrovati dunque soltanto i 10 rappresentanti delle opposizioni: 5 leghisti, 4 forzisti, 1 Fratelli d’Italia. Il presidente, l’azzurro Maurizio Gasparri, propone di bocciare la proposta di mandare Salvini a processo. Esito del voto: i 5 leghisti contrari alla bocciatura (cioè favorevoli al processo), gli altri 5 favorevoli. La scelta leghista ha una doppia lettura: da un lato, non si vuole rinunciare a creare il martire; dall’altro non si vuole dare l’idea che Salvini intenda sottrarsi al processo. Pari e patta, dunque. Senonché il regolamento della Giunta fa prevalere i “no” in caso di pareggio. Risultato: vincono i contrari alla bocciatura, la Giunta manda a processo il leader leghista con i voti della Lega. Un esito surreale.



Alla fine, la maggioranza è riuscita in qualche modo a disinnescare il caso Salvini alla vigilia delle regionali. Non sono stati Pd e M5s, almeno formalmente, a votare contro il leader della Lega. E tengono comunque il colpo in canna pronti a spararlo tra un mese: il voto di ieri, infatti, non manda Salvini direttamente davanti al giudice, ma impone un successivo passaggio parlamentare. Tra un mese dovrà pronunciarsi l’aula del Senato e lì Zingaretti, Di Maio e Renzi non fuggiranno.

Ma chi ha incassato il successo d’immagine maggiore resta comunque Salvini. Ha costretto gli avversari a disertare la Giunta, accusandoli di farsela sotto dalla paura. Dall’altro lato, è come se avesse detto: io non sono Berlusconi che scappa dai processi. “Guareschi diceva che ci sono momenti in cui per arrivare alla libertà bisogna passare dalla prigione. Siamo pronti, sono pronto”, ha detto ieri mattina il segretario leghista a margine di un’iniziativa elettorale della Lega a Comacchio. Dunque appuntamento a febbraio.

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