Dietro Greta Thunberg c’è un movimento fatto da milioni di giovani che in tutto il mondo cominciano a far sentire la loro voce ma c’è anche altro? È questo il sospetto che qualcuno avanza a proposito della giovane attivista scandinava, eletta personaggio dell’anno che si va a concludere e protagonista di recente alla Cop 25 di Madrid, la conferenza per il clima che ha mostrato però come sul tema sia estremamente difficile mettere assieme gli interessi dei grandi Paesi: secondo rumors e pure alcune interessanti inchieste come quella realizzata da William Engdahl, 75enne analista geopolitico americano e autore di diversi libri di successo (anche se è ritenuto da molti uno dei maggiori “teorici della cospirazione” viventi, per onor di cronaca), il successo di Greta si dovrebbe in parte a gli interessi della cosiddetta grande finanza mondiale che ha scommesso per il futuro sul varo di un imponente (e ovviamente sacrosanto: ma non è appunto questo l’obiettivo della critica di Engdahl) “green new deal”. Tale piano di investimenti e interventi che vari Stati metterebbero in campo per incentivare una svolta verde e defiscalizzare alcuni ambiti avrebbe un valore di oltre 100 trilioni di dollari, insomma un business che fa gola a molti e che, al di là dei buoni propositi della Thunberg e di chi la segue, garantirebbe però pure dei profitti non trascurabili per i grandi istituti finanziari.
LA GRANDE FINANZA DIETRO GRETA THUNBERG?
Secondo il sito canadese “Global Research” che ha pubblicato di recente l’inchiesta di Engdahl, infatti, la grande finanza mondiale d’accordo con l’ONU e l’Unione Europea starebbe di fatto sfruttando il fenomeno-Greta e si servirebbe dell’attivista teenager per creare un allarmismo mediatico a proposito del “climate change” che sarebbe superiore a quella che è la situazione reale, elevando dunque la ragazzina a icona mediatica e socia solamente per dare impulso nei prossimi anni a quella che sarebbe certamente una svolta lodevole dal punto degli investimenti “green” ma pure un business che farebbe gola a molti. Un piano di investimenti del valore complesso di 100 trilioni di dollari e con ingenti obbligazioni speculative a margine e colpendo invece i settori dell’economia legati a produzioni vecchie o inquinanti, aspetto che potrebbe avere però pesanti ricadute in termini occupazionali per i lavoratori di quel comparto e vedrebbe al contempo crescere i profitti di alcuni istituti finanziari internazionali. A dettare questa agenda sarebbero Mark Carney, 54enne Governatore della Banca d’Inghilterra, e il 71enne Al Gore, già “runner” per la Casa Bianca e da sempre vicino al mondo dell’ambientalismo: secondo Engdahl sarebbero loro le menti di questo progetto e gli ideatori di una vera task force che coordinerebbe tanti investitori finanziari da ogni parte del globo e che annovererebbe Goldman Sachs, JP Morgan, BlackRock e così via. L’obiettivo secondo la teoria ‘dietrologica’ elaborata da Engdahl sarebbe quello di una sempre maggiore “finanziarizzazione” dell’economia mondiale sfruttando a proprio vantaggio la sincera dedizione alla causa delle tante Grete oggi impegnate in prima linea e “usando” il tema del cambiamento climatico come una leva sulle paure di molti solo per fini di lucro.