Nei giorni scorsi Greta Thunberg, la diciassettenne attivista per l’ambiente diventata icona di una stagione politica e sociale, ha fatto sapere che un nuovo e ambizioso progetto la attende: una serie tv, a metà strada tra il docufilm e il reality, in cui Greta impersonerà se stessa mentre, ad ogni puntata, verifica un dato climatico, incontra un politico, partecipa ad un evento, si confronta con un oppositore.



Questo, nelle intenzioni dell’inner circle che circonda la ragazza, dovrebbe contribuire a tenere i riflettori accesi sul messaggio e sulla causa promossi da quella che il Time non ha esitato a incoronare come personaggio dell’anno 2019.

Il punto è che Greta ad ogni passaggio sembra sempre di più perdere i tratti che l’avevano resa autentica e, pertanto, credibile nel suo esserci: il venir meno agli impegni scolastici e l’abbraccio pirandelliano al personaggio che le è stato cucito addosso dal mainstream, che peraltro è autore del dissesto ambientale che lei combatte, ha reso la Thunberg un’icona senza carne, un’adolescente senza ferite, una testimone in cerca di sponsor; la sua vita non assomiglia più a quella degli altri diciassettenni, e infatti la generosità dei tanti che un anno fa la seguirono è già diventata la fedeltà dei pochi che oggi continuano a mobilitarsi.



È come se i passi compiuti negli ultimi mesi la rendessero sempre più un’autorità morale del pianeta più che un’eroina combattiva. Il suo status, ad oggi, ambisce a fare concorrenza al Dalai Lama o al Papa, codificando una nuova religione e un nuova chiesa “green” di cui lei è l’indiscussa papessa.

In tutto questo viene in mente la domanda che Dio fa ad Adamo nella Genesi: “Dove sei?”. Greta, in questa gigantesca operazione, dove finisce? Dove va la sua voglia di futuro, il suo desiderio di bene, la sua promessa di felicità? Come può non avere qualcuno accanto che le dica che il cambiamento del mondo coincide col cambiamento di ogni singolo uomo? Che cosa darà questa ragazza, dal cuore grande e dagli ideali adamantini, in cambio di se stessa?



Il punto sta proprio qui: più scompare lei, la sua umanità alle prese con la realtà, più scompare la sua causa e il suo messaggio. E a poco servono le trovate economiche o comunicative: quello che Greta sta perdendo non si può comprare da nessuna parte. La piccola attivista scandinava sta smarrendo il fiore della sua giovinezza. Ed è questo il problema: come non esiste un pianeta B non esiste neppure una seconda vita. E convertire il mondo ad uno sviluppo sostenibile non è possibile se non siamo noi, soggetti di questo sviluppo, a sostenere ciò che ci abita e che ci rende unici, ci rende umani.