Nel giorno in cui Mario Draghi era presente in Cornovaglia all’apertura del G7, a Roma il fondatore del M5s, Beppe Grillo, è andato in visita dall’ambasciatore cinese Li Junhua. Ad accompagnare Grillo avrebbe dovuto esserci anche il leader in pectore dei 5 Stelle, Giuseppe Conte, che poi ha fatto sapere di non poter partecipare “per concomitanti impegni”. L’ambasciata cinese ha definito l’incontro “normale”. Ma per Carlo Pelanda, economista, professore di geopolitica economica all’Università Guglielmo Marconi di Roma, la vicenda è ben più preoccupante: “Con questo invito l’ambasciatore cinese ha voluto mostrare il suo potere di chiamata nei confronti di politici italiani al fine di indebolire le scelte atlantiche di Draghi. La Cina vuole comunicare che in Italia è forte e che c’è”.
Ieri Grillo è andato in visita all’ambasciata cinese e come prevede il protocollo è l’ambasciatore a fissare l’appuntamento e non viceversa. È un incontro, come dicono i cinesi, “normale”? Come va interpretato alla luce della presenza di Draghi al G7, che oggi incontrerà il presidente americano Joe Biden?
Molti analisti, e io sono fra questi, hanno la sensazione che Grillo “risponda” agli ordini del Partito comunista cinese, e quindi è stato convocato dall’ambasciatore nel giorno in cui Draghi esprime una forte convergenza atlantica.
Cosa vuole dimostrare la Cina?
Vuol far vedere che l’Italia non è tutta schierata con l’atlantismo. Lo scopo tattico della Cina è indebolire le affermazioni pro-atlantiche di Draghi, mostrando come una parte della maggioranza che lo sostiene va a ricevere la benedizione dell’ambasciatore cinese, inducendo a pensare che l’Italia non sia ancora chiaramente collocata sul piano internazionale.
E sul piano delle relazioni istituzionali?
Questa visita non è un grosso problema, però indebolisce l’Italia. È un problema politico.
Insomma la Cina ci tiene a rimarcare la sua presenza in Italia?
Non solo, c’è di più. Questa mossa tattica è dentro una grande strategia.
Quale?
La Cina vuole rimarcare la sua presenza e il suo diritto d’intervento anche nel Mediterraneo. Infatti questo strappo politico di Grillo fa il paio con l’insistenza con cui la Cina la scorsa settimana ha invitato israeliani e palestinesi a Pechino per siglare una tregua nel conflitto fra Israele e Hamas. La Cina vuole difendere il suo diritto a intervenire negli affari mediterranei e dell’Africa, perché proprio l’Africa sarà il prossimo terreno di scontro tra il blocco delle democrazie e quello delle non democrazie, che al suo interno, tra Russia e Cina, non è comunque coeso.
Perché Grillo così palesemente accondiscende a questa mossa tattica?
È chiaro che l’incontro doveva essere pubblico, perché la Cina vuole comunicare che è forte e che c’è. E poi perché Grillo non può dire di no, lo si vede dai comportamenti che c’è una sorta di dipendenza. Ma ha fatto una figura terribile.
Esiste un partito filo-cinese in Italia?
Sì, ed è molto sviluppato, perché i cinesi usano una forma di influenza molto raffinata e sperimentata in giro per il mondo.
Come funziona?
Avendo un mercato interno immenso, i cinesi offrono una serie di privilegi molto forti ad alcune industrie, favorendone l’export in Cina, ma poi chiedono loro in cambio di farsi parte attiva nel consigliare ai singoli governi di darsi una calmata con Pechino. È lo stesso metodo utilizzato nel 1995 per costringere Clinton a dichiarare la Cina nazione privilegiata sul piano commerciale, premessa indispensabile per consentirle nel 2001 l’ingresso nella Wto.
Grillo è consapevole che in questo modo si gioca molte chance sulle possibilità che il M5s possa tornare al governo?
Grillo non lotta per vincere, lotta per non sparire, e la Cina può mettere in moto la sua rete, anche economica, per sostenerlo.
Il governo Conte era stato protagonista del Memorandum of understanding con la Cina sulla Nuova via della seta. A che punto è oggi quel patto?
Vorrei innanzitutto ricordare che la posizione filo-cinese del M5s, soprattutto a livello di penetrazione industriale in Italia, è precedente a questa firma. Detto questo, oggi fra Italia e Cina restano aperti i commerci esistenti, ma non ci sono più relazioni rilevanti, perché il governo Draghi ha impresso in modo netto una stretta fortissima. Ecco perché la Cina reagisce e lo fa convocando i suoi amici.
L’Italia rischia di diventare ancora di più il terreno di scontro fra Usa e Cina?
Rispetto a due anni fa, quando il potere cinese in Italia era molto maggiore, il nostro paese ha reagito bene, grazie alla svolta formalizzata proprio dal governo Draghi. È chiaro però che l’Italia, in questa partita geopolitica, è un terreno di scontro come lo è stato fra Est e Ovest durante la Guerra fredda. Ma la rilevanza dell’Italia è legata al fatto che è un tassello importante nel Mediterraneo. A tal proposito, Draghi ha fatto bene a sintonizzarsi con la Francia per inviare truppe nel Sahel, perché anche lì si combatterà molto con i cinesi.
Si può dire che il M5s sia il frutto marcio di una globalizzazione ormai spezzata in due: da una parte, una globalizzazione vincente, in ascesa, quella asiatica, e dall’altra una globalizzazione in declino, quella atlantica guidata dagli Usa?
Doppia risposta. Nella realtà il reclutamento degli influencer pro-Cina non avviene solo per una questione di soldi, è qualcosa di più raffinato: non si guarda tanto agli interessi globali, ma ai vantaggi personali che si possono ottenere dalla rete di amici filo-cinesi.
E sulla doppia globalizzazione?
Che l’Asia sia vincente è po’ un mito. Da vent’anni si ritiene che, per fattori demografici e per il fatto che là lo sviluppo sia più veloce, l’Asia sia avvantaggiata.
In realtà?
La Cina in questo momento è in enorme difficoltà, sul piano della stabilità interna, con un sistema bancario messo male e perché sta soffrendo una serie di limitazioni. Qualche giorno fa, per esempio, la Commissione per lo studio su come ridurre la dipendenza americana dalla supply chain cinese ha individuato un elenco molto nutrito di settori, dai princìpi attivi alle terre rare, e ha anche investito molte risorse per costruire l’autonomia strategica americana dalla Cina. Anche la Ue si sta muovendo in questa direzione. E per la Cina tutto ciò significa la morte economica.
Come reagisce Pechino?
La Cina intende contrastare il soffocamento che sta subendo, cercando, sul piano comunicativo, di mostrarsi al mondo come potere simmetrico, non inferiore agli Usa. È già successo nel 2013, quando Barack Obama lanciò l’idea dei due mercati, uno nel Pacifico e l’altro nell’Atlantico, che escludevano la Cina e la Russia. Allora Pechino rispose lanciando il progetto della Nuova via della Seta. Anche oggi adotta una scelta forte, ma ha un po’ i piedi d’argilla.
(Marco Biscella)
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