Hanno fatto (e stanno ancora facendo) molto discutere le recentissime dichiarazioni rilasciare dal presidente eletto USA Donald Trump che durante un comizio in Florida si è detto pronto ad annettere al territorio statunitense sia la Groenlandia che il Canale di Panama, strizzando anche l’occhio (ma questa si ritiene sia solamente una sorta di provocazione del tutto fine a se stessa) all’ipotesi di aggiungere all’equazione il Canada; il tutto senza dimenticare che – in particolare per la Groenlandia – il tycoon non ha escluso l’ipotesi di utilizzare addirittura la forza facendo scattare la dura reazione sia del governo danese, che di quello groenlandese che di Francia e Germania.



Al di là del legittimi dubbi su quello che potrebbe effettivamente scegliere di fare Trump con la Groenlandia è interessante capire perché si tratti di un territorio così tanto importante per – citando lo stesso tycoon – la “sicurezza economica” americana; ma prima di tutto è importante sottolineare che l’enorme isola artica è stata storicamente abitata dal popolo Inuit, poi colonizzata nel 18esimo secolo dall’allora Danimarca-Norvegia, passata sotto le mani degli USA dopo l’invasione nazista del territorio danese ed – infine – restituita ed annessa alla Danimarca.



Da quel momento – e siamo grossomodo dal 1945 – la Groenlandia è stata inizialmente parte del regno danese e poi diventata autonoma (ma non dal punto di vista della politica estera e della gestione della sicurezza, rimaste in mano dalla Danimarca) nel 1979; mentre da diversi anni a questa parte si intensificano le voci interne che vorrebbero una completa indipendenza e l’instaurazione di un governo sovrano per via di diverse tensioni – irrilevanti agli scopi di questo articolo ma che trovate approfondite in parte qui – con il regno danese.

Perché la Groenlandia è importante per Donald Trump: dalle terre rare alla rotta navale artica, lì si gioca la partita contro la Cina

Interessante – peraltro – notare che già nel 2019 durante la sua prima presidenza Trump mise in campo un piano per annettere (o meglio, acquistare) la Groenlandia agli States – definendolo “un grande affare immobiliare” – poi tracollato per non si sa quale ragione; mentre ora a fronte delle minacce dell’uso della forza per conquistare l’isola artica è arrivato un chiaro segnale di stop sia dal Primo ministro danese Mette Frederiksen che dall’omologo groenlandese Múte Egede che hanno essenzialmente ribadito che il territorio “non è in vendita“.



Tornando al punto iniziale, resta da capire perché per il presidente eletto la Groenlandia sia così tanto importante e la risposta è presto detta: sono parecchi – infatti – a credere che sotto la spessa coltre di ghiaccio sempre più minacciata dal cambiamento climatico si nascondano una grande quantità di terre rare utili (soprattutto molibdeno, ma anche terbio e forse il più grande giacimento al mondo di uranio) per i microchip e per la transizione green e – forse soprattutto – di petrolio, utilissimi per tenere testa all’attuale predominio cinese su questo tipo di mercato.

Ma un altro aspetto per nulla trascurabile dell’importanza della Groenlandia (e in questo senso anche del canale di Panama citato in apertura) è rappresentato da quello scioglimento dei ghiacciai al centro della crisi climatica che potrebbe aprire nuove importantissime rotte navali artiche alternative al canale di Suez: rotte particolarmente utili per la Cina e la Russia – dato che accorcerebbero la strada tra Europa e Asia – e che in quanto tali assumono per Trump un’importanza geopolitica strategica anche in caso di un ipotetico conflitto globale.