Un romano su 5 ha votato Gualtieri, un comunista scopertosi riformista, mediocre ministro dell’Economia, piazzato dal partito a risollevare le sorti di Roma. Ha vinto facile, in mancanza di competitor. Usurata la Raggi, che pure manteneva il suo zoccolo duro nelle periferie, e combatteva da sola, senza l’appoggio convinto del suo Movimento, sempre meno Movimento. Non abbastanza forte Calenda, il più preparato e appassionato, ma capace di parlare a un’élite, e le élites, lo sappiamo, da anni votano Pd, la Ztl vota Pd, e la Ztl si trova nelle grandi città.
Michetti-chi ha scontato il chi, ovvero la scarsa conoscenza, e l’impreparazione, i suggerimenti-compitino degli uffici stampa, e la furbizia di chi la campagna elettorale la sa fare davvero, spolverando con l’appoggio di stampa compiacente tutte le sciocchezze dette in pubblico e in semiprivato. Chapeau, e peggio per un centrodestra litigioso, senza classe dirigente credibile, almeno a Roma, impotente a scegliere un nome che unisse, e apparisse immacolato e degno.
Bertolaso no perché non piaceva alla Meloni, la Matone solo come spalla perché non piaceva alla Meloni, che per le decisioni che contano si affida a sorella, cognato e pochi intimi; suonato Salvini, che sapendo di perdere Milano si è scioccamente fregato le mani alla sconfitta probabile della rivale, senza far nulla per ribaltare un verdetto già scritto. Forza Italia non pervenuta.
Così, a parte i quartieri bene e le truppe messe in riga da sindacati e federazioni giovanili, chi non era follemente infatuato per uno dei 4 candidati, e poi per i 2 del ballottaggio, non è andato a votare. Peccato, perché chi non vota si condanna ad essere governato, ma era oggettivamente difficile risolversi per uno dei fantastici quattro: anche il non voto è politico, e quest’astensione di massa dovrebbe far riflettere. Non solo sullo scollamento progressivo tra pseudopartiti e popolo, tra classe dirigente autonominatasi tale e popolo, ma anche sulla scarsità di personalità esperte, capaci, integre almeno nell’operare sulla cosa pubblica.
Dopodiché, il Pd governerà Roma, dovendo qualcosa ai 5 Stelle zona Conte, e il suo sistema di governo è ben rodato, i romani lo ricordano bene. Via alle notti bianche, i festival, i gay pride e la propaganda, speriamo si occupi anche delle buche, dei tombini e dei cinghiali. Gli altri, a leccarsi le ferite, che serva di lezione.
Ma se Atene piange, Sparta non ride. Le elezioni politiche, se e quando mai ci faranno votare, sono altro gioco, altra corsa. Accontentarsi di esercitare il potere con un voto su cinque dei cittadini è ben misera consolazione. Accontentarsi di vincere senza esporre un programma, facendo la lotta politica solo sull’onda nera e le condotte morali di Morisi, è misera cosa. Accontentarsi di vincere raddoppiando i voti grazie al soccorso del fu M5s è misera cosa, caro Enrico Letta, nato democristiano, tornato macroniano tendenza D’Alema.
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