“È l’ampio, eterno respiro del fiume che pulisce l’aria. Del fiume placido e maestro sull’argine del quale, verso sera, passa rapida la Morte in bicicletta. O passi tu sull’argine di notte, e ti fermi. E ti metti a sedere e guardi dentro un piccolo cimitero che è lì, sotto l’argine. E se l’ombra di un morto viene a sedersi vicino a te, tu non ti spaventi e parli tranquillamente con lei”.
Così nella Terza storia che, nel marzo 1948, dava il via per Rizzoli al capolavoro della letteratura italiana che di lì a poco diverrà Mondo piccolo. Giovannino Guareschi era prossimo a compiere quarant’anni, già due terzi della sua breve vita e la sua penna intinta senza risparmio nella corrente del Po riversava sulla pagina tutti gli umori, le atmosfere, le nebbie d’un autentico figlio della Bassa, “fettaccia di terra dove basta fermarsi sulla strada a guardare una casa colonica affogata in mezzo al granturco e alla canapa, e subito nasce una storia”.
Questo per dire che il suo ultimo progetto, incompiuto perché falciato da un infarto a sessant’anni, avrebbe dovuto avere per titolo Il Po, ma che nell’aprile 1988, due decenni dopo la morte del suo ideatore, divenne Il Fogliaccio, quadrimestrale del Club dei Ventitré che, sotto la direzione del figlio Alberto, raccoglie gli amici dello scrittore. Trentacinque anni e cento numeri – l’ultimo ancora fresco di stampa – sono trascorsi da allora, e ad ogni uscita è una ventata di sano umorismo che entra nella case. Umorismo che, è bene precisarlo una volta di più, non è la comicità che strappa la semplice risata, ma il sorriso dietro cui emerge l’invito alla riflessione, dolce o amara a seconda dei casi, ma sempre autentica.
“In questo foglio o fogliaccio il nostro amico Giovannino, come egli mi disse, non si sarebbe occupato di politica, bensì della sua gente e della sua terra – scriveva il grande giornalista Baldassarre Molossi sul primo numero –; per esempio, un profilo del vecchio agrario morto, ma anche del mezzadro, del fittavolo o del famiglio da spesa. Perché, parliamoci chiaro, per Guareschi tutti gli uomini erano uguali e degni, a patto, beninteso, che avessero qualcosa da esprimere e un briciolo di umanità”. Del resto, il Nostro aveva sempre avuto il “pallino” di un giornale da dirigere o almeno su cui scrivere – proprio il numero inaugurale ne cita una dozzina – tra cui il Don Chisciotte, “gazzellone murale del campo italiano 83” (quello del lager di Wielzendorf dov’era prigioniero dei nazisti) poi mutato nel Bertoldo, “edizione speciale per italiani all’estero”…
Il numero 100 – edito nello stesso, grande formato iniziale, raccoglie brevi saggi, disegni, racconti di vari autori e la storia del periodico, che nel tempo ha ospitato anche firme prestigiose, da Giovanni Lugaresi a Marcello Veneziani, da Alessandro Baricco a Marina Corradi, da Giampaolo Pansa a Luigi Negri solo per citarne alcuni. In quarta e ultima pagina riporta, come di consueto, le “notizie del Mondo Piccolo e del Mondo Grande” ovvero “tutto quanto viene fatto per approfondire e diffondere la conoscenza di Giovannino Guareschi”: se qualcuno nutre ancora dubbi sulla popolarità a 360 gradi dell’inventore di Peppone, don Camillo e del Crocifisso che parla non ha che da leggere, numero dopo numero, questa parte del Fogliaccio (stampato col sostegno dei soci dopo l’uscita di scena di Rizzoli, ma sempre sulla ruvida carta che sarebbe piaciuta a GG) per scoprire la quantità (e qualità) di pubblicazioni, messe in scena, conferenze che si susseguono in giro per il mondo, oltre alle tesi di laurea che pervengono al Club e alle visite guidate, tanto alla sede a Roncole Verdi quanto alla Mostra Itinerante.
Si vede che, in barba alla critica militante ancor oggi sospettosa verso tanto successo di un cattolico senza se e senza ma, i lettori rimangono ancora affascinati dalle storie guareschiane: “Roba inventata e perciò tanto verosimile che mi è successo un sacco di volte di scrivere una storia e di vederla, dopo un paio di mesi, ripetersi nella realtà”. E dal momento che l’immaginazione non conosce le barriere del filo spinato, fra di esse rientra anche la dedica che GG – tre mesi dopo il suo ritorno a casa – fece sulla prima copia di uno dei suoi libri più noti, Favola di Natale, riprodotta sul numero del centenario: “Natale 1945. A mia madre che tante volte venne a trovarmi lassù. Nino”.
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