A ben vedere, la biografia di Guareschi è un susseguirsi di idee, articoli, vignette e prese di posizione accomunate da un fatto: essere controcorrente e scomode per il potere dominante, di qualunque natura esso fosse.

Durante la prigionia nei lager, Guareschi arriva a pesare 40 chili e, pur avendo tutti i motivi del mondo per essere disperato, non lo è; e per di più tira fuori dal cilindro quel capolavoro che è Signora Germania: “L’uomo è fatto così, signora Germania: al di fuori è una faccenda molto facile da comandare, ma dentro ce n’è un altro e lo comanda solo il Padreterno. E questa è la fregatura per te, Signora Germania!”.



Un giudizio cristallino sull’irriducibilità della coscienza e sul fatto che il potere non potrà mai scalfire l’anima di un uomo libero. Ed è un giudizio che non cambia nell’Italia del dopoguerra: anche qui ci sono pagine memorabili. Non solo – la faccenda è arcinota – contro i comunisti prima delle fatidiche elezioni del 18 aprile 1948, ma anche contro i governi a guida Dc negli anni successivi, tanto da essere tuttora l’unico giornalista finito in carcere nell’Italia repubblicana.



Così scrive su Candido, il 19 giugno 1949: “È il dovere, il duro dovere di noi giornalisti veramente indipendenti, quello di rivedere le bucce al più forte. E oggi il più forte è la Dc. E, come la storia insegna, bisogna evitare che il più forte diventi il troppo forte. […] Nessuno vuole (e come potrebbe?) rovesciare la Dc, la cui potenza è formidabile, smisurata. Ma criticare severamente quello che fa la Dc è nostro preciso dovere perché noi dobbiamo rispondere della fiducia che tanta gente – ascoltando il nostro invito il 18 aprile – ci ha dimostrato votando per la Dc quando era necessario votare la Dc. Fate male a non volerci ascoltare: perché noi siamo la petulante voce della vostra coscienza. Ad ogni modo noi continuiamo tranquilli per la nostra strada: un giorno torneremo a incontrarci. Solo le montagne e i comunisti stanno fermi dove sono piantati. Gli uomini camminano. E ricordatevi che il più forte ha sempre torto”.



Anche nel rapporto con il denaro, l’approccio è lo stesso: nel racconto Milioni e miliardi, contenuto nello Zibaldino, narra di un uomo sorpreso per caso in ufficio, durante un giorno di festa. E non è l’ultimo arrivato, bensì il padrone. Uno che veniva dalla gavetta, e da minatore era diventato padrone di fabbriche importanti. “Possedeva una valanga di milioni, terre, ville, automobili, yacht, motoscafi, gioielli, una biblioteca ricca di preziosi volumi, una galleria di quadri famosi. Eppure non sapeva cosa fare. Delle sue tenute egli capiva solo l’estensione, dei gioielli il prezzo, dei suoi libri il formato”, scrive Giovannino. Il quale ci richiama invece al valore di una “cassa comune”, come la definisce lui: “Il sole, la luna, le stelle, le pietre delle case piene di storie meravigliose, la vita che brulica sulla proda di un fosso in primavera, la rugiada che brilla all’alba sulle foglie verdi, il cielo nel quale naviga la navicella della fantasia, i colori delle stagioni. Hai voglia: qui ci sono i gioielli, la biblioteca, la galleria di quadri, lo yacht, l’automobile, l’aeroplano, le ville e i castelli”. Morale della storia? “Non amareggiamoci per via dei milioni che non abbiamo: nelle sere di primavera e d’estate mettiamoci alla finestra a guardare le stelle: sono miliardi, non milioni. E sono tutte nostre”.

Pagine che andrebbero imparate a memoria da giovani e meno giovani a caccia di denaro facile, illusi di poter trovare così il proprio compimento. Che poi, con i soldi, cosa si comprerà mai? Quello che il potere ti propina, ovvio: l’ultimo modello di telefono, di auto o di qualunque diavoleria sia a portata di mano. Anche su questo, Guareschi ci aveva visto lungo. Così scrive nel 1967: “La società dei consumi, grazie a una organizzazione politico-pubblicitaria di terrificante potenza, ha creato bisogni e necessità fasullissimi che rubano all’uomo ogni tempo libero. Non esiste libertà nella società dei consumi che concede all’individuo la sola libertà di fare ciò che fanno tutti gli altri”.

Dalla Germania nazista ai politicanti di casa nostra, fino alla società dei consumi: Guareschi ci apre gli occhi su come stare davanti al potere nelle sue mille forme. E non si tratta di fare rivoluzioni, si badi bene; ma di partire dalla propria coscienza. E di avere sempre a portata di mano quella straordinaria “arma”, così la chiamava, che è l’umorismo.

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