Giovannino Guareschi, nel corso della sua vita, ha avuto a che fare – direttamente, o quasi – con due Pontefici. Il primo fu Pio XII, cui scrisse una lettera, dai passaggi salienti fortemente indicativi, sia dell’assoluta indipendenza di pensiero di Guareschi, che della sua sconfinata, incrollabile fede. Scriveva Giovannino: “Io accetto la Legge Divina non solo senza discuterla, ma senza neppure ‘ragionarla’: perciò tratto le cose grosso modo e affermo che la Divina Costituzione, per il fatto stesso che è divina, non può essere modificata dai mortali”.



E ancora, ecco il suo “autoritratto” di scrittore e di uomo: “Ognuno è cristiano come Dio gli permette e non è da dire che il ‘Dottore Angelico’ Tommaso D’Aquino fosse più o meno cristiano del ‘Giullare di Dio’ Francesco D’Assisi. Io non sono un dottore, io sono soltanto un giullare degli uomini. Probabilmente, vedendomi rivolgere la parola a Vostra Santità, qualche stakanovista dell’acquasantiera griderà allo scandalo, dimenticando che se anche la donnetta di facili costumi può parlare direttamente a Dio, non c’è niente di scandaloso che un uomo di costumi difficili si rivolga al Vicario di Dio”.



A questo punto, vien da chiedersi: e se al posto di Pio XII ci fosse stato Papa Francesco? Come e cosa gli avrebbe scritto Giovannino Guareschi? O piuttosto gli avrebbe forse telefonato? Più probabilmente, conoscendo il papà di don Camillo e Papa Bergoglio, sarebbe andata a finire con un incontro, magari a Santa Marta, per parlare di giullari di Dio e degli uomini, del modo in cui rivolgersi, come hanno fatto in tantissimi, al Papa come fosse un amico di nome Francesco, talmente amico di Gesù, da poter parlare ad ogni uomo come farebbe il Crocifisso dell’altar maggiore con don Camillo.

Il secondo Pontefice con cui ebbe a che fare Giovannino fu Giovanni XXIII. Angelo Roncalli, già da nunzio apostolico in Francia, era lettore convinto delle favole di Mondo piccolo, al punto di fare omaggio al presidente Vincent Auriol di un volume dei racconti guareschiani, dedicandoglielo “per la sua distrazione e per il suo diletto spirituale”. E non finisce qui, perché il 4 luglio 1959 Giorgio Pillon, direttore della redazione romana di Candido, scrive a Guareschi: “[…] sono stato ad Assisi da don Giovanni Rossi, alla Pro Civitate Christiana. Don Giovanni – che il giorno prima era stato dal Papa – trovò modo di dirmi che parlando con il Pontefice della necessità di rinnovare e rimodernare i testi religiosi, si era lasciato scappare l’idea di domandare a Guareschi di scrivere una nuova, più moderna e più spigliata Dottrina Cristiana. Il Pontefice non aveva affatto trovato troppo ardita una simile proposta. Ecco perché don Giovanni a mio mezzo ti domanda se trovi la proposta interessante”.



Quale fu la risposta di Giovannino lo dirà lo stesso Pillon, molti anni dopo, sul numero 5 de Il Fogliaccio, periodico del Club dei Ventitré: “Feci subito presente, per telefono, a Minardi la singolare proposta perché la comunicasse a Guareschi, ormai rintanato nel suo rifugio di Roncole (Giovannino si era ben guardato dal rispondere alla lettera di Pillon, ndr). Il giorno dopo ebbi la risposta: ‘Guareschi dice che sono matti tutti e due, Papa Roncalli e don Giovanni Rossi’. Raccontai questa straordinaria proposta a Indro Montanelli, che osservò: ‘Al posto di Guareschi avrei accettato’”.

Così si arriva a Papa Francesco che cita il rapporto fra Peppone e don Camillo ai vescovi della Cei riuniti a Firenze, come esempio: è il dialogo che don Camillo ha, non solo con Peppone, ma con tutti i suoi parrocchiani che ha offerto spunto alla citazione di Francesco, come ha detto monsignor Carlo Mazza, vescovo emerito di Fidenza: “…portando il prete guareschiano ad esemplarità nazionale, recuperando il modello del sacerdote don Camillo: prete all’apparenza intransigente da una parte, ma umanamente capace del dialogo con Peppone dall’altra. Un modello che sembra superato ed invece è di grandissima attualità: il rapporto costante, sostenuto dal medesimo amore, del sacerdote con la gente e con Gesù”.

Pio XII, Giovanni XXIII e Francesco: tutti accomunati dall’appassionarsi ai personaggi e ai racconti del Mondo piccolo di Guareschi. E c’è di più: era un appassionato guareschiano anche Benedetto XVI, come scrive monsignor Georg Gänswein nel suo Nient’altro che la verità sulla vita di papa Ratzinger, che si recava, se era bel tempo, alla grotta di Lourdes nei giardini vaticani o, se pioveva, al giardino pensile dell’ultimo piano, da dove si domina tutta Roma. “Era questo il momento – scrive padre Georg – nel quale scambiavamo qualche parola in libertà e gli raccontavo, per esempio, le domande che inviavano i bambini nelle letterine adornate dai loro ingenui disegni: ‘Ho letto che al Papa piacciono i film di don Camillo e Peppone, è vero?’” (pag.103). Sì, risponde padre Georg, tanto che, nel gennaio 2011, all’udienza generale parteciparono il parroco e il sindaco di Brescello. Ma non è tutto. Durante l’emeritato “La domenica e nelle festività liturgiche quel ritmo cambiava con la Messa alle 8.30 e la recita dell’Angelus alle 12, seguendo in televisione Papa Francesco. Il pomeriggio era dedicato all’attività culturale; nei primi tempi ascoltavamo opere liriche e concerti in cd mentre negli ultimi anni li abbiamo visti in dvd. Al termine, una delle Memores leggeva ad alta voce un libro, e una delle scelte predilette da Benedetto era la serie di racconti di Giovannino Guareschi su don Camillo e Peppone”. (pag. 315).

Resta un quesito: quali racconti erano i preferiti da Benedetto XVI? Azzardiamo un titolo, Cinque più cinque, pubblicato nel primo volume di Mondo piccolo, nel 1948. Avremo ragione? Leggete o rileggetevi il racconto e fateci sapere.

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