Un attacco in grande stile, con 100 aerei impegnati contemporaneamente, 150 obiettivi di Hamas colpiti nel Nord della Striscia, tra cui i cunicoli nella zone di due ospedali, due capi dell’organizzazione uccisi e i tank che rimangono sul territorio anche alla fine dell’intervento. Israele dice che l’invasione di terra non è ancora iniziata, ma le operazioni viste sul campo fanno pensare che ormai gli indugi sono stati rotti. Dall’imponenza e dal tipo dello sforzo, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del Coi e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi tra cui Libano, Kosovo, Somalia e Afghanistan, sembra proprio che l’obiettivo sia far uscire i palestinesi da Gaza. Un risultato che, se fosse raggiunto, metterebbe in difficoltà l’Egitto, che rischierebbe la destabilizzazione. Sarebbero stati distribuiti anche volantini per invitare i palestinesi a spostarsi a Sud della Striscia. La liberazione degli ostaggi e la distruzione di Hamas non sembrano una priorità. Israele potrebbe volersi riprendere la Palestina. In Cisgiordania, intanto, i palestinesi sono scesi in piazza per protestare, mentre Hamas ha ricominciato a sparare razzi verso Israele.
Intanto il premier Bibi Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant hanno parlato alla nazione. Il primo ha annunciato che l’esercito è dentro Gaza, che si stanno distruggendo le infrastrutture nemiche e che alla fine quella di Israele sarà una “vittoria del bene sul male”. Il secondo ha chiesto pazienza al Paese perché sarà una guerra lunga. Entrambi hanno assicurato che verrà fatto di tutto per liberare gli ostaggi. Secondo Hamas si era vicini a un accordo che poi Israele non ha voluto. Due versioni diverse: anche la propaganda, in guerra, è un’arma.
Dentro Gaza ci sono violenti scontri. Il ministro della Difesa di Israele ha detto che si combatte fino a nuovo ordine. Gli intensissimi raid dovevano essere solo una espansione delle operazioni. Come si spiega il balletto delle dichiarazioni sull’invasione?
Sono solo parole, evidentemente hanno deciso di entrare. Non dichiarano apertamente quello che fanno per mantenere nell’indeterminatezza la reazione a Gaza e la reazione internazionale. Di fatto hanno iniziato.
Da quello che hanno fatto finora, prima con le incursioni dei tank, poi con un attacco massiccio con aerei e carri, cosa possiamo capire della strategia israeliana?
Le loro intenzioni sono quelle di schiacciare Gaza come un tubetto di dentifricio dal Nord e spingere i palestinesi nel deserto del Sinai. Adesso li indirizzano nella parte Sud di Gaza e poi da lì la gente andrà da sola nel deserto del Sinai. Già prima la densità abitativa di Gaza era la più alta al mondo, se poi avranno a disposizione solo la metà del territorio automaticamente dovranno spostarsi. L’Egitto dovrà prenderli e basta, vogliono mandarli fuori. Il Cairo non potrà non aprire il valico di Rafah, altrimenti in una situazione del genere dovrebbe assumersi la responsabilità di un dramma sociale come quello che si verrebbe a creare. Gli israeliani vogliono mandare via i palestinesi come è successo in Cisgiordania, con l’insediamento dei coloni.
Anche gli americani a livello di dichiarazioni si mostrano preoccupati per la popolazione di Gaza, parlando di aiuti e corridoi umanitari. E chiedono a Israele di non esagerare nella loro reazione. Ma di fatto, dal punto di vista militare, Gerusalemme fa quello che vuole. Sono fumo negli occhi anche le parole degli Usa?
Le nostre società occidentali, compreso Israele, hanno bisogno di giustificare le loro azioni all’opinione pubblica dicendo che noi siamo i buoni. Se gli americani dicessero semplicemente agli israeliani: “Spazzate via tutto, vi aiuteremo fino alla fine” le loro parole non sarebbero accettate. Allora devono dire: “Però apriamo i corridoi umanitari”. Ma ci siamo mai chiesti cosa vuol dire corridoi umanitari? Significa un insieme di strutture portuali, aeroportuali, strade percorribili che devono consentire un flusso continuo di aiuti, che poi devono essere distribuiti senza che ci siano disordini. Se manca tutto questo siamo di fronte a un’affermazione retorica, senza costrutto, soprattutto se avviene mentre ci sono i combattimenti. Di quali corridoi umanitari parliamo se in un’area così ristretta e densamente popolata si continua a combattere? Per creare l’unico, vero corridoio umanitario bisognerebbe dire: “Fermate le ostilità”. L’Onu ha detto che non può più garantire le attività all’interno della Striscia per una questione di sicurezza del loro personale: hanno perso una quarantina di persone.
Se lei fosse consulente militare di Netanyahu cosa consiglierebbe di fare a Israele? Questa operazione di terra è veramente necessaria nei termini in cui si prefigura fino a questo momento? Risolverebbe definitivamente la situazione o tra qualche tempo, senza una pace autentica, il pericolo per gli israeliani non sarebbe più Hamas ma qualche altra organizzazione?
Se viene fatta fuori Hamas il pericolo non proverrà più da Gaza ma da qualche altra parte. Gli odii in questa maniera non fanno altro che perpetrarsi. Bisogna vedere qual è l’end statement, la condizione finale che ci si ripromette con le dichiarazioni. Questo riguarda tutte le operazioni militari, ma anche ogni attività umana. Cosa vogliono ottenere gli israeliani: la liberazione degli ostaggi? Pare che non ne parlino più. Ne parlano solo Hamas e l’Iran, che dice di voler fare da tramite per una soluzione. Se l’obiettivo è liberare gli ostaggi questa operazione non c’entra niente, non fa altro che metterli a rischio. Se invece si punta a distruggere Hamas allora bisogna chiedersi se per farlo bisogna distruggere due milioni di persone che stanno nella Striscia di Gaza: mi sembra una procedura che non sta in piedi. Se, infine, l’obiettivo è mandare via i palestinesi l’operazione, per come la stiamo vedendo, ha una sua razionalità.
Se questo fosse l’obiettivo, come si dovrebbe procedere?
Facendo esattamente quello che vediamo: bombardare, distruggere le strutture, stringere un assedio che impedisce di avere viveri, acqua, energia. E poi occorrerebbe partire con le operazioni dal Nord verso il Sud. L’end statement che si ripromettono non è la liberazione degli ostaggi, non è neppure la distruzione di Hamas, perché possono eliminarla ma probabilmente dopo nascerà un’organizzazione simile. Una situazione come questa produrrà solo altri mostri. L’unico obiettivo probabile con operazioni come quelle che Israele sta conducendo è di mandare via i palestinesi. Così gli israeliani completano il loro obiettivo storico: quello di occupare la Palestina.
Hamas cerca di mettere in cattiva luce Israele proprio denunciando alla comunità internazionale gli effetti sui civili delle operazioni militari. Si può dire che il comportamento israeliano favorisca in qualche modo questa strategia?
Hamas credo che uscirà con le ossa rotte da questa situazione: c’è uno strapotere militare da parte israeliana che non lascia dubbi su come andrà a finire. Sì, certo, farà gioco ad Hamas evidenziare le vittime civili, credo che però la prospettiva sia di essere annichiliti dal punto di vista militare. Il bilancio per l’organizzazione palestinese alla fine sarà negativo. Hamas punta ancora adesso sulla rinuncia a un’azione di terra da parte di Israele. Ma se l’invasione proseguirà avrà sbagliato i suoi calcoli.
Ma con l’attacco del 7 ottobre e ciò che ne sta seguendo, Hamas non rischia anche di inimicarsi proprio la sua gente? Chi è a Gaza potrebbe avere qualcosa da dire per le conseguenze che sta pagando.
Sì, è vero. Dobbiamo metterci nei panni di chi vede sbriciolarsi la sua vita proprio in conseguenza dell’azione di Hamas.
Per come agisce sembra che ad Hamas non interessi molto della sorte del popolo per cui dice di combattere.
È così. C’è anche da dire, però, che le condizioni di vita di Gaza sono così precarie da spingere alla disperazione: se poi c’è qualcuno che questa disperazione la vuole sfruttare, come Hamas, i risultati sono questi. Il segretario dell’Onu Guterres ha detto una cosa vera: questa situazione non è nata improvvisamente. Israele poteva aspettarsi una reazione del genere: non esiste un Paese al mondo che abbia così tanti nemici intorno a sé. Li ha perché il suo comportamento è fortemente discriminatorio: questo è quello che ha sottinteso Guterres. Tutto ciò non giustifica l’azione di Hamas ma la può spiegare.
Ma se il progetto è svuotare Gaza, quali conseguenze potrà avere su tutta l’area mediorientale?
Ad affermare che il progetto sia quello ci arriviamo per esclusione: se volessero liberare gli ostaggi o solo distruggere Hamas gli israeliani si comporterebbero diversamente. Il problema è che liberandosi dei palestinesi rovineranno i loro rapporti con l’Egitto, che sta soffrendo la situazione.
Un esodo dei palestinesi potrebbe portare anche a una destabilizzazione del Paese?
L’Egitto è già un Paese radicalizzato: è tenuto sotto controllo dalla presenza di Al Sisi. Prima di lui c’erano i Fratelli musulmani, che continuano a esserci: sono una realtà endemica. Un così ingente arrivo di profughi potrebbe destabilizzare il Paese e creare un problema ulteriore per gli israeliani.
(Paolo Rossetti)
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