Era l’occasione per mettere Israele di fronte alle sue responsabilità, ma Russia e Cina hanno esercitato il diritto di veto come membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU. E così la risoluzione USA, che chiedeva il cessate il fuoco a Gaza (arrivata dopo che gli Stati Uniti si erano opposti ripetutamente ad analoghe richieste avanzate alle Nazioni Unite da altri Paesi), è stata bocciata.
È vero, spiega Enzo Cannizzaro, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Roma La Sapienza, si tratta di un documento che mostra diverse lacune, che vuole far tacere le armi, ma senza appellarsi a ragioni giuridiche stringenti, che non prende una posizione decisa sulla possibile devastante azione israeliana a Rafah, ma se tutti l’avessero votato a quest’ora Israele si sarebbe trovato con le spalle al muro, messo di fronte alle sue responsabilità dalla comunità internazionale. Quello che emerge, purtroppo, è una crescente contrapposizione tra Oriente e Occidente, in un muro contro muro che allontana le possibilità della pace e che sembra far prevalere gli interessi geopolitici dei singoli Paesi piuttosto che quelli dei popoli.
Dopo tre risoluzioni in occasione delle quali gli Stati Uniti avevano esercitato il loro diritto di veto per impedire il cessate il fuoco a Gaza, si sono visti bocciare una loro iniziativa che chiedeva di far tacere le armi. Quali sono i contenuti della risoluzione bocciata, le richieste specifiche degli USA e la portata della loro iniziativa?
Occorre premettere che il testo finale della proposta di risoluzione non è ancora pubblico. Di conseguenza, possiamo solo dedurre il suo contenuto da bozze fatte circolare informalmente e, quindi, non del tutto attendibili. Da tali incerte fonti, si ricava che la formulazione della proposta ha dei margini di ambiguità. Il “cessate il fuoco” non è impartito come un ordine del Consiglio di sicurezza, ma come “accertamento di un imperativo”. Questa formula, non utilizzata dal Consiglio di sicurezza, sembra indicare che la cessazione delle ostilità sia più un imperativo morale che una regola giuridica. Inoltre, l’indicazione del cessate il fuoco non è incondizionata ma è posta in connessione con il rilascio degli ostaggi. E, tuttavia, se adottata, la proposta degli Stati Uniti avrebbe posto Israele in una posizione insostenibile. Sarebbe stato difficile per Israele ignorare la voce della comunità internazionale e il suo diritto. Ritengo plausibile che la decisione di Russia e Cina sia stata ispirata anche da un tocco di perfidia. Qualora la proposta di risoluzione avesse avuto successo, gli Stati Uniti avrebbero riscosso la massima parte dei “dividendi” geopolitici.
La Russia, in questo caso, ha messo in luce, fra le altre cose, che gli USA hanno sempre bocciato le richieste arrivate da altri Paesi, contribuendo di fatto alla distruzione di Gaza. Secondo i russi, la risoluzione avrebbe dato l’ok a un attacco a Rafah: ci sono elementi del documento che possono essere interpretati in questo senso?
Anche rispetto a Rafah, la proposta degli Stati Uniti non era priva di ambiguità. Innanzitutto, Rafah non era nominata nella parte dispositiva della proposta di risoluzione. Essa era menzionata nei cosiddetti “considerando”, e cioè nella parte che giustifica le decisioni del Consiglio. Orbene, nella proposta di risoluzione non vi era nulla che potesse essere inteso come una sorta di autorizzazione all’intervento israeliano. Ma non vi era neanche un divieto di intervenire.
Cosa viene sostenuto, allora, nel documento?
La proposta si limitava ad esprimere la preoccupazione del Consiglio di sicurezza per un tale intervento. E ciò non solo dal punto di vista del diritto umanitario violato, ma anche perché un intervento a Rafah minaccia la pace e la sicurezza nell’area mediorientale. Ma – viene da chiedere – se un intervento a Rafah avesse l’effetto di minacciare la pace e la sicurezza internazionale, perché limitarsi a esprimere preoccupazione? Occorrerebbe un divieto espresso da parte del Consiglio di sicurezza, il cui compito è proprio quello di mantenere e ripristinare le condizioni di pace e sicurezza internazionale.
L’ambasciatore cinese ha chiesto un cessate il fuoco immediato e incondizionato, secondo le indicazioni dell’Assemblea generale dell’ONU e del segretario Guterres, ritenendo che non fosse questa l’intenzione americana. La richiesta degli USA era un’altra?
Nella proposta di risoluzione, il cessate il fuoco non era presentato né come immediato né come incondizionato. Tuttavia, la risoluzione, se approvata, avrebbe costituito un importante passo avanti da parte del Consiglio di sicurezza. Anche alla luce dei rapporti piuttosto turbolenti fra Russia e Cina da una parte e il blocco occidentale dall’altra, tale risoluzione avrebbe potuto creare un clima di cooperazione e soprattutto avrebbe evidenziato l’isolamento di Israele nella comunità internazionale. Io credo che l’adozione della risoluzione avrebbe messo in serie difficoltà il Governo israeliano.
Cosa avrebbe significato l’approvazione di una risoluzione come quella americana?
La risoluzione presentata dagli Stati Uniti non sarebbe stata la soluzione del conflitto fra Israele e la Palestina. Essa, però, avrebbe per la prima volta in questa crisi, e forse anche per la prima volta da molti anni, rovesciato il principio fondante della politica degli Stati Uniti nel Medio Oriente, incondizionatamente tesa a proteggere Israele e a nascondere le molteplici violazioni del diritto internazionale da parte di questo Paese.
È possibile presentare subito una risoluzione sullo stesso argomento, come sembra vogliano fare dieci membri non permanenti del Consiglio di sicurezza, e su quali basi, visti i testi presentati finora, si può arrivare a un documento che vada bene a tutti, assicurando gli aiuti umanitari agli abitanti della Striscia?
Si parla molto sulla stampa di un’iniziativa dei dieci Stati che siedono nel Consiglio di sicurezza senza potere di veto. Io spero che abbia successo, ma temo che, in questi tempi che sembrano preludere a un ritorno al confronto fra Occidente e Oriente, un orientamento unitario della comunità internazionale sia molto difficile.
Secondo lei quale scenario prefigura la bocciatura della risoluzione: può complicare ancora di più la situazione o ci sono ancora strade percorribili, almeno per aprire uno spiraglio di pace?
È difficile rispondere a questa domanda. La questione di Gaza non è una fra tante crisi regionali minori. Essa condiziona le relazioni internazionali a livello globale e si situa in un contesto geopolitico in movimento, il cui esito è molto incerto. Inoltre, questa crisi si interseca con dinamiche politiche interne ai rispettivi attori. È verosimile che la durezza esibita dal governo israeliano sia dovuta, almeno in parte, all’intento di recuperare un consenso politico interno; inoltre, le elezioni presidenziali negli Stati Uniti incombono pesantemente su questa crisi, dato che il candidato repubblicano non esiterebbe, verosimilmente, a schierarsi a fianco della destra israeliana più estrema. Insomma, questa crisi, come l’altra crisi, quella Ucraina, che ha un eguale potenziale distruttivo dell’assetto internazionale, dovrebbe essere chiusa al più presto, ma tanti lavorano affinché ciò non accada.
(Paolo Rossetti)
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