Uno scambio tra i leaders di Hamas a Gaza, che verrebbero espulsi, e gli ostaggi in mano ai terroristi. C’è anche questa ipotesi sul tavolo del gabinetto di guerra israeliano. In questi giorni, d’altra parte, i vertici dell’organizzazione palestinese sarebbero, a giudicare dalla stampa israeliana, particolarmente attivi nella ricerca di una soluzione che li metta al riparo dai pericoli: Ismail Haniyeh e Khaled Meshaal, i capi politici, avrebbero fatto perdere le loro tracce nell’esilio dorato di Doha (Qatar) e sarebbero pronti, come altri, a guadagnare altri lidi.
Sono gli stessi leaders che, forse per tentare di ritagliarsi comunque uno spazio politico, secondo la stampa israeliana avrebbero cercato Abu Mazen con l’idea di creare una leadership unitaria palestinese. In realtà, dice Stefano Piazza, giornalista e scrittore, esperto di sicurezza e terrorismo, l’unica alternativa che Israele fornisce ad Hamas a Gaza è quella di arrendersi o di morire in guerra. E per i capi non ci sarebbe neanche alternativa. Lo dimostrano i volantini con tanto di taglie distribuiti nella Striscia: 400mila dollari per chi dà notizie di Yahya Sinwar, 300mila per il fratello Muhammad, 200mila per Rafah Salameh e 100mila per Muhammad Deif.
In tema di soldi intanto la Knesset, il parlamento israeliano, ha votato una variazione di bilancio che ammonta a 7 miliardi di dollari, destinati a coprire i costi della guerra, che sarà lunga e dispendiosa. E che in queste ore sta crescendo di intensità, senza guardare in faccia ai morti.
Secondo il Jerusalem Post i comandanti della sicurezza israeliana hanno proposto al gabinetto di guerra di valutare l’espulsione dei leaders di Hamas da Gaza in cambio di ostaggi. Il Governo potrebbe prendere in considerazione questa ipotesi?
Secondo me è impraticabile. Fatico a credere che ci sia un politico israeliano, chiunque in Israele, disposto a vedere i capi di Hamas, che hanno fatto quello che hanno fatto, lasciare la Striscia sani e salvi. Conoscendo lo stato d’animo di Israele non la ritengo percorribile. Ho parlato con uno degli scampati alla strage del 7 ottobre: il sentire comune non è quello di dire “Ma sì, li mandiamo via in cambio dei 135 ostaggi”, dei quali tra l’altro 20 sono già morti. Il governo israeliano ha colpe gigantesche in questa storia: il 7 ottobre non può essere colpa dell’intelligence, i servizi segreti fanno quello che la politica dice loro di fare; se hanno “dormito” è perché i politici hanno detto loro di non occuparsi di determinati aspetti. Anche per questo dire “Lasciamo andare i capi jihadisti in cambio degli ostaggi” è una cosa folle.
In Israele, però, si comincia a parlare di una guerra lunga, eventualità avvalorata dallo stesso esercito, con tanto di centri studi, come il Forum studi palestinesi del centro Moshe Dayan, secondo i quali l’IDF è ancora lontano dall’eliminare Hamas. Espellere i capi non servirebbe ad abbreviare il conflitto?
C’è una trattativa in corso, chiesta però dai palestinesi a Qatar ed Egitto e non dagli israeliani, per considerare la liberazione di altri ostaggi, ma la condizione non può essere quella di lasciar andare i leaders. Sinwar e Deif non hanno nessuna chance: o si arrendono o verranno ammazzati. Negli ultimi giorni, poi, i combattimenti sono diventati furibondi, si combatte veramente porta a porta. Il numero delle vittime è salito molto, sia da parte israeliana che da parte palestinese. Israele tira dritto, è disposto ad andare avanti per mesi continuando quello che ha fatto finora. I miliziani di Hamas si salvano solo se escono dai tunnel e si arrendono.
Un funzionario di Hamas che sta a Doha, Mousa Abu Marzouk, avrebbe dichiarato che l’organizzazione dovrebbe riconoscere Israele, come ha fatto l’OLP. È fumo negli occhi o ci stanno pensando veramente?
Un altro che sta cercando di salvarsi. Sappiamo che il capo del Mossad è andato in Qatar dicendo di liberarsi dei leaders di Hamas perché altrimenti, avendone l’opportunità, sarebbero andati a farli fuori. L’invito a Doha di liberarsi di loro poi è arrivato anche dagli americani, dal segretario di Stato Blinken. L’Iran non se li prende, non vuole rischiare di avere gli israeliani in casa (come è già successo) per un’operazione contro di loro, qualche altro capo se lo prende la Turchia, dove è fuggito anche Arouri, che stava in Libano, mentre i due capi multimiliardari Haniyeh e Meshaal andranno probabilmente in Algeria. Ma anche lì non avranno scampo. Ora pare che abbiano spento i telefoni, che non si sappia bene dove siano, è possibile che stiano cercando di trasferirsi. Intanto hanno arrestato esponenti di Hamas anche in Danimarca e Olanda.
Sempre secondo la stampa israeliana Haniyeh e Meshaal avrebbero contattato Abu Mazen per proporgli una leadership unitaria palestinese, cosa che avrebbe fatto infuriare Sinwar, che invece vorrebbe concentrare tutti gli sforzi sui combattimenti a Gaza. Un tentativo che non ha futuro?
Non credo che troveranno la quadra, ma siamo al “Si salvi chi può” e nell’ottica di salvarsi ci sta anche questo tentativo. È una mossa della disperazione. Non penso che Abu Mazen abbia interesse a farlo, spera che gli americani alla fine gli regaleranno la gestione della Striscia di Gaza. Da una parte potrebbe discutere, aspettando però che gli israeliani chiudano la partita. Sinwar poi vive nei tunnel e ha qualche difficoltà anche a comunicare, se lo fa rischia di venire individuato dagli israeliani.
La nuova trattativa per gli ostaggi può andare a buon fine?
Una trattativa è possibile ma per Hamas a questo punto le opzioni sono limitate. È molto difficile creare la strada giusta.
Anche alcune fonti israeliane concordano però nel dire che l’eliminazione di Hamas non è dietro l’angolo. Dobbiamo aspettarci ancora a lungo bombardamenti a tappeto e incursioni nelle case?
Ci vorrà tempo. Un paio di mesi. Israele è disposto ad aspettare: hanno anche stanziato altri soldi per le spese di guerra.
(Paolo Rossetti)
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