È vero: la decisione è stata della Corte Suprema, ma è difficile immaginare parte dell’opinione pubblica israeliana non imputare al Premier anche quest’ultima mossa. Si tratta dello stop alle esenzioni dal servizio di leva militare finora concesse agli studenti ultra-ortodossi (in vigore fin dal 1948, su iniziativa di Ben Gurion), nonché del drastico taglio delle sovvenzioni solitamente elargite alle loro scuole.



Le formazioni ultrareligiose d’appartenenza di quegli studenti (circa 70mila nelle scuole rabbiniche oggi in età per la chiamata alle armi) sono le stesse che fino a ieri hanno contribuito a tenere a galla il governo di Bibi Netanyahu, e da domani chissà, potrebbero essere un’ennesima grana che si aggiunge alle pesanti frizioni con i vertici militari (che accusano il Premier di procedere senza una visione chiara degli scenari e soprattutto del “dopo”), con l’Amministrazione Biden (incolpata da Bibi di rallentare le forniture belliche, un’imputazione risultata poi infondata, creata forse per una rimessa di responsabilità), con le associazioni che rappresentano le famiglie degli ostaggi del 7 ottobre (che vorrebbero l’immediata liberazione di quanti ancora tenuti prigionieri da Hamas, anche se nessuno sa dire come), e, in ambito più strettamente politico, con i partiti di opposizione, ma anche con parte della sua maggioranza, e con l’opinione pubblica che, secondo gli ultimi sondaggi, preferirebbe a lui il centrista Benny Gantz.



Il re è oggi più solo che mai, a quasi nove mesi dall’inizio del conflitto con Hamas, una guerra sanguinosa scaturita dall’orrore creato dall’incursione omicida dei terroristi tracimati da Gaza, ma una guerra che in certa misura ha anche consentito a Netanyahu di restare al suo posto, circondato da un gabinetto di guerra dove le epurazioni e le surroghe hanno rintuzzato ogni contestazione.

Adesso, senza ancora successi definitivi a Gaza, e con la sensazione confessata dal portavoce dell’esercito Hagari (“distruggere Hamas è una velleità, è gettare sabbia negli occhi dell’opinione pubblica: Hamas è un’idea, è un partito, è radicato nel cuore della gente”), il Premier sta per concentrarsi sul fronte Nord, il sud del Libano, contro gli altri nemici giurati del popolo ebraico, gli Hezbollah, formazione islamista sciita, filoiraniana e antisionista, composta dai miliziani paramilitari ma anche dall’ala politica, riunita in un partito che si occupa tra l’altro del welfare (servizi sociali, sanitari, scuole) per migliaia di libanesi.



Così a Gaza, anche nelle zone dichiarate bonificate dalle truppe israeliane, continuano a spuntare terroristi di Hamas, segno evidente che le loro capacità offensive e i loro nascondigli sono ben distanti dalla soppressione. E a nord l’aviazione di Tel Aviv continua a rispondere con raid mirati al lancio sempre più frequente di missili lanciati dalle Alture. Mentre nel frattempo sul porto di Haifa volteggia tranquillo un drone spia ovviamente targato Hezbollah, che sembra voler dire: se possiamo spedirvi un drone sulle vostre teste, figuratevi se non possiamo farvi arrivare qualcos’altro.

Sono tutti segnali di confronti asimmetrici, dove le logiche tradizionali soccombono a quelle degli scontri culturali e religiosi, e tutti i bombardamenti del mondo non riusciranno a scalfire nessun fanatismo. Ovviamente, le ricette migliori sarebbero quelle diplomatiche, anche se finora i vari tentativi di Egitto, Qatar, Stati Uniti e via dicendo sono stati solo parole al vento, tra continui tira e molla tipicamente mediorientali, dove il sì è quasi sempre un forse.

Resta evidente che per Netanyahu un altro fronte a nord del Paese potrebbe costituire un valido diversivo al pantano di Gaza, dove le macerie e il numero spropositato di vittime civili segnano un Vietnam assurdo non solo per Israele, ma in certa misura per l’Occidente intero, anche per la vicina Europa, rivelatasi una volta di più incapace di esprimere una linea comune: è l’Europa dove tutti, alla vigilia del voto, si giuravano decisi a cambiare, e dove adesso, a urne chiuse, non trovano di meglio che replicare un Governo coalizione-Ursula. Ma se a Gaza nove mesi di bombardamenti a tappeto non sono riusciti nell’intento di sradicare Hamas (anzi, il numero degli affiliati potrebbe lievitare arruolando chi ha perso parenti, amici, casa e lavoro e adesso si ritrova mosso solo da un grande desiderio di vendetta), in Libano la situazione potrebbe in breve diventare ancora più pesante, visto che gli Hezbollah sono ben più organizzati, armati, numerosi e determinati. Si rischia insomma un allargamento imprevedibile del conflitto mediorientale, dalle ricadute inevitabili sul nostro mondo. Il tutto mentre il vero Satana, l’Iran che arma e guida le sue armate proxy (Hamas, Hezbollah, Houthi), sta a guardare.

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