Anthony Blinken, il segretario di Stato Usa, che chiede una tregua, una pausa umanitaria per consentire di aiutare la popolazione e pensa ai suoi figli mentre vede i bambini palestinesi estratti dalle macerie. Hassan Nasrallah, il capo di Hezbollah in Libano, che attribuisce totalmente ad Hamas l’operazione del 7 ottobre, togliendo responsabilità anche all’Iran e che contemporaneamente indica quali sono i quattro punti su cui agire per negoziare. Due segnali che non aggravano la situazione a Gaza e in Palestina e che per fortuna sembrano allontanare la prospettiva di un allargamento del conflitto.
Gli Usa, spiega Filippo Landi, già corrispondente Rai da Gerusalemme e poi inviato del Tg1 Esteri, vogliono scrollarsi di dosso il giudizio negativo delle opinioni pubbliche mondiali sulla violenza della reazione israeliana all’operazione “Diluvio Al Aqsa”, giudizio nel quale alla fine vengono accomunati gli stessi americani. La richiesta di Blinken di una tregua ha anche un motivo elettorale: i sondaggi danno Biden in discesa. Se l’appoggio a Israele può avere incontrato i favori della comunità ebraica Usa, ha anche indispettito quella araba, che in vista del voto dell’anno prossimo potrebbe voltare la faccia ai democratici.
Ora bisogna vedere come reagirà il governo Netanyahu: probabile che asseconderà le richieste di Blinken, ma poi potrebbero tornare a prevalere le posizioni radicali. A rischio lo scenario in Cisgiordania.
Nasrallah ha ribadito che la battaglia di Hamas contro l’occupazione della Palestina è legittima, ma alla fine non si è spinto oltre. Il suo è sembrato una sorta di appoggio esterno alla causa di Hamas. Ha definito però quali potrebbero essere i temi sui quali può nascere un confronto. Che indicazioni ha dato, nella sostanza, il suo discorso?
Nasrallah sembra aver dato agli Usa anche un’indicazione per una via d’uscita, indicando quattro linee rosse, quattro punti su quali è necessario un chiarimento, parlando per prima cosa dei palestinesi che sono prigionieri nelle carceri israeliane, chiedendone la liberazione, per poi ricordare la situazione di Gerusalemme, in relazione alla quale vengono considerati inaccettabili i cambiamenti che si discostano dal quadro delineato dopo il ’67. Gli altri due elementi messi in rilievo sono la rimozione dell’assedio a Gaza, che dura da tempo, e la necessità di fermare l’avanzamenti dei coloni, dei settlers, così come delle loro azioni violente. Sono esattamente i punti fondamentali del programma di Hamas, messi nello stesso ordine. Per uscire dalla situazione, insomma, bisogna operare su questi temi.
La chiamata alle armi di Hezbollah che molti si aspettavano, quindi, non è arrivata?
Coloro che se l’aspettavano non conoscono la regione e le sue dinamiche. Hezbollah non è riducibile a una milizia, è un partito. Nasrallah ha voluto anche dire chiaramente che l’operazione del 7 ottobre non è stata eterodiretta. Una dichiarazione fatta anche per conto dell’Iran, per rispondere a tutti coloro che hanno tentato di coinvolgere, almeno a parole, Teheran in una guerra più vasta. Senza negare che l’Iran abbia sostenuto sia Hamas che Hezbollah ha ribadito che non è mai stato mandante delle loro operazioni.
Il discorso di Blinken, che chiede una tregua, e quello di Nasrallah, che non impegna direttamente Hezbollah nella guerra, sono due segnali positivi in una situazione che sembrava doversi aggravare?
Quella di Nasrallah è una dichiarazione che va incontro all’attività di diplomatica di Blinken per qualificare la presenza Usa in Medio Oriente, tesa a evitare l’allargamento del conflitto. Il segretario di Stato ha tentato così di rimediare alla devastante considerazione che i Paesi dell’area hanno attualmente nei confronti degli Usa. Un giudizio ferocemente negativo che non riguarda solo le opinioni pubbliche, ma anche i vertici politici di queste nazioni, a partire dalla Giordania e dall’Egitto, ai quali era stato proposto maldestramente, all’inizio del conflitto, di prendersi i profughi palestinesi in uscita da Gaza. Ecco perché proprio dagli Stati Uniti è arrivata la richiesta di una pausa nei combattimenti e di rifornire di carburante gli ospedali, fermo restando che proprio questa mancanza può essere configurata come crimine di guerra di Israele ma anche di chi lo sostiene. Non per niente proprio nei giorni scorsi il procuratore della Corte internazionale aveva espressamente chiesto di aprire il valico di Rafah agli aiuti umanitari.
Israele come reagirà di fronte a queste richieste? Netanyahu si era detto contrario alla fornitura di carburante entrando in attrito anche con il suo stesso esercito: ora cosa farà?
Possibile che ci sia una pausa nei combattimenti e che il carburante venga fornito agli ospedali. Con Netanyahu su questo punto ci sono state delle tensioni, ma le parole di Blinken sono una risposta alle immagini di quello che sta accadendo a Gaza che forse non sono state diffuse negli Usa e in Europa, ma che una parte consistente del mondo ha visto. Anche esponenti dell’amministrazione americana come John Kirby, assistente alla Difesa, scettico sui numeri dei morti diffusi dai palestinesi (9.200) hanno dovuto ricredersi di fronte allo sdegno che ha investito anche gli Usa.
In queste nuove posizioni americane contano anche i riflessi che questa situazione ha avuto sul gradimento di Biden in vista delle elezioni presidenziali del 2024?
Biden ha pensato che appoggiando l’operazione a Gaza potesse accaparrarsi il consenso della comunità ebraica, ma i sondaggi dicono che così facendo la comunità arabo-americana gli ha voltato le spalle. Non voterà per Trump, ma potrebbe ingrossare le fila di coloro che preferiscono astenersi.
Blinken ha anche detto che gli ostaggi rimangono una priorità: la tregua dovrebbe servire anche a riprendere le trattative per liberarli?
Le dichiarazioni del ministro della Difesa Yoav Gallant secondo il quale l’operazione per abbattere Hamas sarebbe servita anche a liberare gli ostaggi sono surreali. Ne sono già morti 57. Nasrallah, ricordando la condizione dei prigionieri palestinesi, ha fatto capire che una trattativa in questo senso, con uno scambio, potrebbe andare a buon fine: il Qatar si stava già muovendo in questa direzione, ma poi non se ne è fatto niente.
Possiamo dire alla luce degli interventi di Blinken e Nasrallah che l’escalation del conflitto ora è un po’ meno probabile?
Bisognerà vedere quali resteranno gli obiettivi del governo Netanyahu dopo la pausa dei combattimenti. All’interno dell’esecutivo ci sono forti pressioni affinché questa occasione militare venga sfruttata a pieno per eliminare Hamas. Un discorso che vale anche per la Cisgiordania, che ora viene percorsa da Nord a Sud alla ricerca di miliziani di Hamas che non si capisce quanti siano. A tutto questo si aggiunge un atteggiamento aggressivo da parte dei coloni e le accuse di violenza da parte della polizia nei confronti dei palestinesi, due dei quali sono morti a 48 ore dal loro arresto. Ci sono denunce diffuse sui palestinesi incarcerati. Anche per questo Nasrallah, forse, ha parlato dei prigionieri.
Che ruolo hanno avuto la stampa e i mass media in questo cambio di registro da parte degli americani?
C’è irritazione da parte degli establishment di Usa e Israele nei confronti dei giornalisti: è evidente che il lavoro che hanno fatto a Gaza (e non solo lì) ha messo i bastoni fra le ruote al compimento dell’operazione militare, ostacolando la volontà di portarla a termine. Visto l’altissimo numero di morti che si sono verificati, per loro sarebbe stato meglio che certe immagini non fossero state viste.
(Paolo Rossetti)
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