Si parla ancora di trattative, della necessità di liberare gli ostaggi, ma Israele ha in mente solo la guerra: lo dimostra il fatto che ogni volta che si è vicini a un accordo subentra qualche difficoltà. E la risoluzione votata alla Knesset dalla maggioranza di governo e da qualche rappresentante del partito di Gantz che respinge l’idea di uno Stato palestinese conferma la politica del muro contro muro.
Gli israeliani, spiega da Gerusalemme Ugo Tramballi, editorialista del Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, non vogliono Netanyahu, ma vogliono che la guerra continui per battere Hamas. La vittoria, però, non è per niente vicina; la guerriglia dell’organizzazione palestinese, che si confonde in mezzo ai civili, costringe l’IDF a massacri che mettono Israele sempre più in cattiva luce. Massacri che gran parte degli israeliani non vogliono ammettere. Un contesto, insomma, che non fa presagire altro che la guerra, senza intravedere una via d’uscita.
Netanyahu il 24 luglio andrà a parlare al Congresso USA e c’è da aspettarsi una sorta di endorsement per Trump, ma anche l’eventuale arrivo del tycoon potrebbe non risolvere del tutto il problema del rapporto con gli americani. L’attuale candidato repubblicano è sicuramente filoisraeliano, ma non sarebbe così disposto ad accettare la guerra.
La Knesset stavolta lo ha detto apertamente: Israele respinge l’idea della creazione di uno Stato palestinese. Non c’erano dubbi, ma ora è nero su bianco in un documento ufficiale. Uno smacco per i palestinesi?
Ormai le cose si sanno come vanno: si tentano trattative per una liberazione degli ostaggi israeliani e dei prigionieri palestinesi, Netanyahu sembra promuovere questi incontri, poi al momento buono oppone degli ostacoli e tutto finisce lì. La guerra prosegue su questa linea: la maggioranza degli israeliani non vuole più essere governata da Netanyahu, ma la stessa maggioranza vuole continuare fino alla vittoria. Come sempre, gli israeliani solo dopo la fine della guerra riflettono su se stessi, ma finché c’è sono compatti. Netanyahu sfrutta questa situazione.
La presa di posizione sullo Stato palestinese è anche l’ennesimo smacco per Biden?
Netanyahu si appresta a parlare davanti al Congresso in una realtà elettorale molto cambiata dopo l’attentato a Trump: la debolezza di Biden è sempre più palese, gli elettori giudicano se sarà in grado di governare per i prossimi quattro anni e tutto fa capire che non sarà così. A questo si aggiunge l’attentato a Trump, la sua foto con il sangue in faccia e la bandiera americana, il fatto che abbia nominato come vice un giovane come Vance, povero, con una famiglia devastata, venuto da una regione come l’Ohio distrutta dagli accordi internazionali che hanno trasferito le fabbriche all’estero. In tutto questo interviene Bibi Netanyahu che rilancia. In un’America in cui il presidente è delegittimato, si presenta e “spara” questa risoluzione sullo Stato palestinese per avere il consenso del partito repubblicano, che probabilmente esprimerà il prossimo presidente.
Quello del premier israeliano può essere anche un azzardo?
È un rilancio rischioso. Trump non è così favorevole alla guerra, gli interessa solo che finisca. Netanyahu vuole far vedere che la maggioranza del parlamento e degli israeliani sono contro uno S
arabia non può volere abramo senza soluzione di questione palestinesetato palestinese, ma Trump non è mai stato favorevole al conflitto. Se diventerà presidente rilancerà il tema dei rapporti con l’Arabia Saudita, ma anche lì dopo il 7 ottobre le cose sono molto cambiate. L’Arabia non può più promuovere accordi come quelli di Abramo senza una soluzione della questione palestinese, altrimenti la gente si rivolterebbe contro il monarca. Trump sarà in difficoltà a riproporre accordi come quelli. Non può ripristinarli così come erano stati stretti in precedenza e men che meno allargarli all’Arabia Saudita. Anche per Netanyahu, insomma, potrebbe non essere così facile avere a che fare con Trump.
La risoluzione della Knesset dimostra un atteggiamento degli israeliani sempre più determinato. È la conferma, se mai ce ne fosse bisogno, che nessuno li smuove dalla loro linea?
Quello in cui viviamo è un mondo complicato, ma se c’è una cosa su cui tutti i governi sono d’accordo, eccetto Israele, è che il modo per porre fine definitivamente alla guerra è creare uno Stato palestinese. Biden ha tenuto un atteggiamento altalenante, on the record votava all’ONU contro i palestinesi e inviava armi, off the record si arrabbiava con Netanyahu, ma solo perché quattro americani su cinque sono più filoisraeliani che filopalestinesi. Se non ci fossero state le elezioni, Biden sarebbe stato molto più duro nei confronti di Netanyahu. Con un presidente statunitense debole, il primo ministro israeliano andrà negli USA a fare il suo grande show, schierandosi sicuramente a favore dei repubblicani.
La fine della guerra, comunque, la decideranno solo gli israeliani? L’uccisione di Deif e Sinwar, capi operativi di Hamas, il primo dei quali secondo l’IDF potrebbe essere stato colpito, basterebbe per porre fine al conflitto?
Il New York Times ha spiegato molto bene come Hamas in questi mesi si sia trasformata da esercito che ha tentato di invadere Israele il 7 ottobre a una forza di guerriglia addestratissima, che continua a colpire gli israeliani aspettandoli tra le macerie, confondendosi fra i civili in modo che l’IDF sia costretta a dei massacri. Se c’è un Paese isolato al mondo è Israele, ed è grazie al cinismo di Hamas, che costringe gli israeliani a far fuori 70-80-100 civili per ammazzare un loro comandante, sollevando così la riprovazione mondiale. Hamas è imbattibile dal punto di vista militare. Su questo meccanismo perverso la guerra va avanti: la gente detesta Bibi, ma vuole una vittoria che non è possibile raggiungere.
Al di là dell’obiettivo di eliminare Hamas, Israele come giustifica una guerra condotta con modalità tali da provocare decine di migliaia di morti?
Ogni giorno vengono ammazzati 20-30-50 civili. Stando a Gerusalemme, vedo che gli israeliani continuano a non voler riconoscere questo. Dicono che sono dati falsi. Su un mio blog ho pubblicato un messaggio: “Quando scrivo di un massacro di bambini compiuto da Putin dicono che faccio il giornalista, quando scrivo di un massacro di bambini compiuto dagli israeliani dicono che sono un antisemita”. Ci sono stati moltissimi commenti e molti tra quelli filoisraeliani non riconoscono l’esistenza del massacro perpetrato ogni giorno dall’esercito su istigazione di Hamas. Negano quello che è evidente a tutto il resto del mondo. È vero che sono stati attaccati oltre nove mesi fa, ma nel frattempo è successo qualcosa di diverso che dovrebbe far riflettere un Paese democratico come Israele è, almeno nei suoi meccanismi interni.
Israele, quindi, continuerà a combattere, perché questa è la sua strategia, ma sarà difficile che verrà a capo completamente di Hamas?
C’è molta incertezza nel Paese, incredulità. Un clima strano, in una situazione che, nonostante i venti di guerra, non è né carne né pesce. Al di là dei combattimenti a Gaza, Israele resta una nazione del primo mondo: i mercati sono pieni, la gente va in vacanza. Rimane però l’incertezza assoluta sul futuro, nessuno sa come uscirne, anche perché nessuno si ricordava più della questione palestinese e adesso Hamas, con il suo attacco, ha spinto il mondo a occuparsene, mettendo in crisi Israele. Non so come e quando si uscirà dalla guerra. Di certo non sarà per niente facile risolvere le problematiche interne che il conflitto ha scatenato.
(Paolo Rossetti)
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