Una condanna nettissima dell’attacco terroristico del 7 ottobre, poi le parole che hanno scatenato un putiferio e una richiesta di dimissioni da parte di Israele. Ieri alle Nazioni Unite il segretario generale António Guterres ha affermato che “le sofferenze del popolo palestinese non possono giustificare gli spaventosi attacchi di Hamas. E quegli attacchi spaventosi non possono giustificare la punizione collettiva del popolo palestinese”. E poi: “Gli attacchi di Hamas non sono arrivati dal nulla. Il popolo palestinese è stato sottoposto a 56 anni di soffocante occupazione”, ha rincarato Guterres.
Secondo fonti di parte – il ministero della Sanità di Gaza – il bilancio dei morti per le bombe israeliane è salito ieri a 5.791, di cui 2.360 minori.
“La reazione di Israele è legittima, non lo sono invece le modalità con le quali essa sta avvenendo”, che sono tali da configurare crimini di guerra, spiega al Sussidiario Pasquale De Sena, ordinario di diritto internazionale nell’Università di Palermo e presidente della SIDI, Società italiana di diritto internazionale e di diritto dell’Unione Europea.
“Questo conflitto in Israele è ancora più pericoloso di quello in Ucraina” chiarisce subito il giurista.
Perché, professore?
Perché il diritto internazionale risulta completamente accantonato, obliterato. Anche da parte della potenza democratica in campo, che sembra non curarsi, o curarsi solo in modo assolutamente superficiale, di risparmiare i civili.
Come vanno inquadrati gli eventi del 7 ottobre sotto il profilo giuridico?
Dico subito che ritengo improprio un paragone con l’11 settembre. Non ovviamente per il numero delle vittime o per il carattere terroristico degli atti, non è questo il punto. Mentre quello fu un attacco a uno Stato ex abrupto (improvvisamente, nda), dunque senza nessun antecedente, l’attacco di Hamas si inserisce in un contesto ben noto, che è quello di un’occupazione sia pure sui generis di un territorio, e di conflitto, anche militare, che si trascina – proprio in quello scenario – da un numero lunghissimo di anni.
Perché dice occupazione sui generis?
Perché a Gaza Israele controlla confini e funzionamento delle infrastrutture, pur senza essere più presente con proprie truppe.
Voci autorevoli, anche su queste pagine, hanno assicurato che da parte di Israele ci sarebbe stato un “cambio di paradigma” e che la proporzionalità non sarebbe stata rispettata, perché il 7 ottobre abbiamo assistito a un genocidio, analogo a quello perpetrato dalla Germania nazista.
Francamente, respingo questa tesi. In quello che lei dice si coglie perfettamente la gravità della situazione. Sia chiaro: quanto perpetrato da Hamas è definibile strage, omicidio di massa, attacco proditorio e terroristico. Ma non si tratta di Shoah e neppure di pogrom, un termine che ho visto stampato su un volantino circolato in Germania in occasione di una manifestazione contro Hamas e pro-Israele. Quello che è successo non a nulla che fare con i pogrom, che storicamente sono repressioni delle minoranze ebraiche avvenute soprattutto nell’impero russo. Ed infatti, dal punto di vista semantico la parola pogrom ha un elemento ineliminabile, e cioè quello della persecuzione di una minoranza. In questo caso la minoranza non c’è: in Israele gli ebrei sono la maggioranza e lo sono anche in alcuni dei territori occupati, penso alla Cisgiordania, che è piena di coloni.
Perché questa distinzione sarebbe importante?
A mio avviso, occorre fare molta attenzione a evitare slittamenti semantici, perché i significati implicano poi conseguenze diverse sotto il profilo giuridico. Viceversa, in questo caso, proprio lo scivolamento semantico è un segnale.
Segnale di che cosa?
Del proposito di giustificare una reazione che avviene con modalità illegittime.
Per chiarezza, le faccio allora un’altra domanda. Come si inquadra l’azione di Israele nel diritto internazionale?
È assolutamente legittima quanto al suo titolo giuridico. Che uno Stato possa difendersi in caso di attacco alla propria popolazione civile è fuori discussione, ma – attenzione – devono essere legittime anche le modalità attraverso le quali si esprime la risposta. Ed è quello che non sta avvenendo.
Chi lo dice?
Lo dicono le norme del diritto internazionale umanitario. Ne caso di Israele si tratta, tra l’altro, di uno Stato che sta agendo in una situazione di occupazione. Le forze israeliane hanno bombardato Gaza a tappeto, a ridosso dell’eccidio, poi hanno interrotto le forniture di luce, acqua e gas. Quest’ultimo è il crimine di guerra che Von der Leyen – a ragione – rimproverava ai russi nei confronti degli ucraini.
Cosa può dirci dell’ordine di evacuazione dei civili dal settore nord di Gaza disposto da Israele il 12 ottobre?
Il fatto di ordinare un’evacuazione in quelle condizioni è probabilmente un crimine di guerra. L’ordine infatti è stato imposto anche agli ospedali, luoghi che per definizione non dovrebbero essere obiettivi di guerra, e che non possono essere evacuati senza compromettere gravemente la salute dei pazienti.
L’argomento che Israele oppone è: come facciamo a difenderci se i terroristi si mischiano alla popolazione?
È una obiezione comprensibile, ma non toglie l’illiceità del provvedimento. Viceversa, da un punto di vista storico-politico rilancia un’altra questione, presupposta alla prima: chi ha costruito il muro di confine intorno a Gaza?
È illegale anche quella barriera?
Sì, perché viola una lunga serie di norme sui diritti dell’uomo e di diritto umanitario. Non lo dico io, lo ha stabilito la Corte internazionale di giustizia (o Tribunale internazionale dell’Aia, nda). La densità di Gaza (21mila persone per miglio quadrato) è resa ancora più drammatica dalla presenza del muro. Se la Cisgiordania non fosse stata occupata dai coloni, i palestinesi si sarebbero potuti distribuire produttivamente anche lì.
Quindi?
Capisco benissimo che i terroristi si annidino fra i civili, che oltretutto tengono in ostaggio, ma è anche vero che le condizioni storiche perché questo avvenga oggi sono state create proprio delle modalità in cui questi territori sono stati gestiti.
Si dice che sotto gli ospedali di Gaza ci siano postazioni di Hamas. In casi come questo un ospedale può costituire un obiettivo bellico legittimo?
No, nel modo più assoluto. Lo dice il diritto umanitario vigente.
Non contrasta con l’articolo 51 della Carta ONU, il “diritto naturale” alla legittima difesa individuale e collettiva?
A mio avviso, l’art. 51 non entra in gioco nel nostro caso, per la ragione che le dicevo prima; e cioè per il fatto che il 7 ottobre non c’è stato un attacco ex abrupto, ma un’azione terroristica, occorsa in un contesto di occupazione, riconosciuto come tale dalle Nazioni Unite. Un contesto nel quale si svolgono ordinariamente contrasti armati tra l’occupante e l’occupato. D’altra parte, anche una reazione ex art. 51 è soggetta al diritto umanitario.
Come si dimostra questa distinzione fra art. 51 e difesa in un contesto di occupazione? Non è capziosa?
Tutt’altro. A Gaza non ci sono truppe israeliane, ma Israele controlla il territorio. Come dicevo poc’anzi, Israele controlla sia i confini, sia il funzionamento delle infrastrutture. È una situazione che non giova allo stesso Israele.
Ormai è quasi una certezza che lo sgombero del settore Nord della Striscia, ancor prima dell’eventuale operazione di terra, sia la vera strategia israeliana, finalizzata a creare un nuovo status quo.
Se il trasferimento indirettamente forzato – cioè, via bombardamenti aerei – si stabilizza, si tratta di un altro gravissimo crimine. Facciamo l’ipotesi che Israele entri in Gaza e occupi la parte Nord. Impedire ai palestinesi di tornare da dove sono partiti equivale ad assoggettarli ad un trasferimento forzato. Che, come appena detto, è del tutto in contrasto col diritto internazionale.
Anche se in questo modo Israele ha salvato vite?
Se il trasferimento si stabilizzasse, sarebbe illegittimo, perché alle persone sarebbe impedito di tornare. Non sarebbe più evacuazione ma deportazione di una popolazione da un territorio a un altro. Naturalmente, al momento è solo un’ipotesi.
Che ruolo sta avendo la comunità internazionale in questa crisi?
Raramente abbiamo assistito ad una tale assenza di iniziativa politica seria da parte occidentale. La cosa più preoccupante è che l’Occidente è riuscito perfino a dar ragione a… Putin: il quale ha osservato che è mancata completamente un’azione di mediazione efficace, soprattutto da parte degli Stati Uniti. Prima dell’azione di Hamas, naturalmente.
Nel suo discorso alla nazione di settimana scorsa, Biden ha detto che dai successi di Israele e Ucraina “dipende la sicurezza dell’America”. “Hamas e Putin vogliono annientare le democrazie”.
Mah, questa dichiarazione mi pare essenzialmente propagandistica. Non sto ovviamente dicendo che Putin non ha commesso dei crimini; come non si può negare che crimini siano stati commessi dagli americani in Iraq, da Hamas o da Israele. Non è questo il punto. Ciò che lascia davvero impressionati è l’ambiguità della posizione di Washington.
In che senso, professore?
Da un lato gli Usa si atteggiano a protettori di Israele e Palestina dall’escalation, con annessa difesa da parte di Biden del principio di autodeterminazione. Dall’altro, però, il 18 ottobre gli Stati Uniti hanno opposto il veto a una risoluzione del Consiglio di sicurezza che, condannando Hamas, ingiungeva ad Israele di rispettare il diritto umanitario. 12 Stati erano a favore e se gli Usa si fossero astenuti come Russia e Regno Unito, la risoluzione sarebbe passata.
Perché si sono opposti? Formalmente parlando, si intende?
Perché la risoluzione non menzionava “il diritto di autodifesa di Israele”, cioè non c’era alcun riferimento all’art. 51 della Carta ONU. Che non può esserci, ripeto. Il nodo mi sembra politico: Washington parla di autodeterminazione dei palestinesi e di rispetto del diritto umanitario, ma non fa quasi nulla per frenare Israele, avallando, di fatto, qualsiasi sua iniziativa. Vediamo però cosa succede oggi, dopo la riunione, ora in corso, del Consiglio di Sicurezza, e l’intervento di Blinken, che ha appena ribadito l’esigenza di rispettare il diritto internazionale umanitario, nonché quella di pervenire a una soluzione definitiva della crisi, a due Stati.
Non ritiene che in realtà l’amministrazione americana sia riuscita a dissuadere il Governo Netanyahu dall’intraprendere l’operazione di terra?
Non mi sembra: ieri il New York Times riferiva dell’invio di un alto ufficiale in Israele per consigliare la difesa israeliana sulle modalità dell’offensiva. Allo stesso tempo, è vero che gli Stati Uniti sono preoccupati per un’escalation del conflitto, come risulta da un altro intervento apparso sullo stesso quotidiano. A me pare che gli Stati Uniti navighino a vista, nel senso che risultano incapaci di elaborare una vera e propria strategia complessiva.
Cosa suggerirebbe di fare il diritto internazionale, sempre ammesso che sia il diritto, e non la saggezza politica, a poter dare suggerimenti.
Servirebbe una risoluzione del Consiglio di Sicurezza, perlomeno per una tregua, proprio com’era quella che non è stata approvata, visto che vi si parlava di “humanitarian pause”. Speriamo che un passo avanti in questa direzione sia fatto oggi, come vorrebbero molte delegazioni che si sono già pronunciate. Dopodiché, una possibilità percorribile, ma – attenzione! – provvisoria, è quella dell’invio di una missione di pace sul territorio di Gaza sotto l’egida dalla Lega Araba e dalle Nazioni Unite. Va detto che anche questa, sulla carta, è una proposta statunitense. Il punto vero è che, se tutto procede come ora, cioè se Israele continua a fare quello che sta facendo adesso, l’odio aumenterà e la distanza tra le parti diventerà incolmabile. Ammesso che già non lo sia.
(Federico Ferraù)
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