Troppe domande si pongono di fronte alla situazione che sta vivendo Gaza. In questo momento la Striscia, dove gli israeliani vogliono entrare per “regolare, forse definitivamente, i conti” con Hamas, rappresenta perfettamente non solo il disordine mondiale che si sta vivendo, ma contemporaneamente il fallimento di una classe dirigente globale che da anni non riesce più a trovare un assetto geopolitico funzionale.



Nemmeno nei periodi più cupi della guerra fredda, nemmeno al tempo dei missili piazzati a Cuba contro gli Stati Uniti, si aveva la sensazione che oggi si prova pensando a quello che può accadere con l’incursione israeliana a Gaza.

Sembra di essere alla vigilia del conclusivo deragliamento delle ex grandi potenze, ormai incapaci di frenare quello che ha scritto Graham Allison nel suo libro ormai famoso Destinati alla guerra, con un sottotitolo che appare riduttivo rispetto alla realtà: “Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide?”. No, lo scontro è potenzialmente più ampio, molto più ampio.



Andiamo per gradi nell’analizzare i vari pezzi di questa grande, totale disgregazione. Si dice che Israele non possa rinunciare alle tre fasi dell’attacco a Gaza dopo la crudele incursione a sorpresa, il 7 ottobre, fatta da Hamas contro gli israeliani con metodi che hanno evocato un “secondo olocausto”.

In realtà, l’attacco israeliano è già in corso da giorni, ma quando si entra nei particolari della possibile-probabile incursione via terra, che viene definita imminente da una settimana quasi ogni ora, gli analisti di guerra si smarriscono. Sembrano d’accordo sulle azioni degli aerei, sul continuo scambio dei razzi, neanche fosse ancora una tragica guerriglia e non una guerra. Ma gli stessi analisti non riescono a spiegare o nemmeno a immaginare (anche con un po’ di ipocrisia) come l’esercito israeliano possa entrare a Gaza, compreso il suo sottosuolo, pieno di passaggi stretti e segreti, senza provocare un’ecatombe (ostaggi compresi) che potrebbe non cancellare ma aggravare la risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre.



In realtà, il disaccordo degli analisti è dettato dalla paura. Una strage in un luogo dove vivono due milioni di persone, un selvaggio corpo a corpo tra soldati di Israele e uomini di Hamas in quella zona della Palestina metterebbe in discussione non solo gli errori di Benjamin Netanyahu, ma anche di tutta la classe politica israeliana e dei suoi organismi, che perderebbero irrimediabilmente la prerogativa, sempre riconosciuta, di essere l’unica democrazia presente nel Medio oriente.

Forse era questo che Joe Biden, nella sua visita in Israele, voleva dire apertamente a Netanyahu quando ha quasi scandito: “Non commettete i nostri errori fatti dopo l’11 settembre”.

E occorre aggiungere che l’orrore caduto su New York l’11 settembre 2001, subìto dagli americani, avveniva in un contesto che non appariva grave come quello attuale. La questione di Gaza appare infatti come il ritorno, dopo una serie di anni turbolenti, di uno scontro inevitabile tra Occidente e Oriente, riassumendovi tutti i valori e i difetti dell’uno e dell’altro mondo.

Si dovrebbero affrontare con scrupolo quasi cento anni di storia per comprendere come si è arrivati a questo, cioè a come sembra che si sia veramente arrivati al punto di non ritorno. Tra mutamenti di regimi, di rapporti di forza, di potenze che ricercano una nuova egemonia, tra problemi di diseguaglianze, confronti economici, globalizzazione, boom e crisi demografiche; tra tutti questi problemi e altri mai affrontati seriamente e in certi casi addirittura dimenticati, l’attacco a Gaza rappresenta l’ora sinistra per tracciare un meridiano immaginario, dove due parti del mondo si fronteggiano in una nuova guerra fredda – al momento –, che però non ammette mediazioni e non garantisce alcuna mediazione.

È come se appunto la carta geografica del mondo avesse da questo ottobre 2023 un meridiano in più, che divide due grandi aree in competizione tra loro.

Impossibile immaginare da quanto tempo covava questo confronto drammatico, che denuncia tutta l’incapacità dei vari Stati di stabilire rapporti costruttivi.

Guardiamo per prima la questione di Gaza. C’è chi sostiene che Netanyahu sapesse tutto dei piani di Hamas, di quello che stava avvenendo e non aspettasse altro per rilanciare la sua “grande Israele” con una nuova campagna militare; c’è chi sostiene che qualcuno glielo abbia nascosto appositamente, perché ha letteralmente spaccato in due un Paese che salvaguardava la democrazia sopratutto; c’è chi sostiene forse più realisticamente che Israele abbia perso la sua forza di popolo che si è riunito dopo secoli di dispersione per il mondo e pretenda un’egemonia impossibile in tutto il Medio oriente.

C’è poi chi dice che alcuni Stati arabi abbiano aperto a Israele e abbiano sfidato e provocato gli sciiti dell’Iran che hanno come scopo principale la distruzione di Israele, come si ripete con ossessione in Hamas e tra gli Hezbollah.

Tutte queste ipotesi sono possibili e anche credibili, ma non spigano interamente che cosa sia accaduto nel disordine mondiale che ancora esiste dopo la fine della “guerra fredda” e il crollo del Muro di Berlino.

In realtà si è tutti figli di una grande illusione, e cioè che la fine della guerra fredda avesse messo fine ai pericoli di un confronto di nuovo mondiale e questa volta anche nucleare. È come se con la caduta del Muro di Berlino si fosse dimenticata la complessità del mondo.

Soprattutto si è dimenticato, di fronte a una realtà che era sotto gli occhi di tutti, che esisteva un “triangolo maledetto” dove se un angolo era rappresentato dall’imperialismo dell’Unione Sovietica (la guerra in Ucraina dura da quasi due anni), convivevano insieme l’emergere della rinnovata potenza cinese con tutti i problemi che comporta l’assetto geopolitico dell’Indo-Pacifico (Taiwan viene sempre più citata) e nello stesso tempo la situazione del Medio oriente risente ancora della sistemazione avvenuta con la caduta dell’Impero Ottomano. Si è così trascinata una situazione con mille contraddizioni per un secolo, tra aggiustamenti temporanei e interventi dell’Onu, che poi non si sono potute risolvere pienamente. Il caso emblematico è proprio Israele.

Si può aggiungere a tutto questo il futuro dell’Africa, che ormai sfugge al gioco delle grandi potenze.

Nel momento in cui il disordine dilaga per il mondo e non esiste una cooperazione internazionale che possa controllare le zone dove esistono contrasti, si entra inevitabilmente nella fase del confronto duro. E nello spazio non tutelato dalle grandi potenze in contrasto tra loro entrano in scena, magari manovrati da alcuni comprimari, i protagonisti del terrorismo, quelli che sono in grado di infilare il mondo intero nel disastro.

A ben guardare Gaza è frutto di tutto questo disordine di cui sono tutti responsabili. Il problema oggi non è solo se gli israeliani daranno il segnale di un conflitto con un’azione durissima, con un’invasione che è impossibile controllare nei suoi effetti con qualsiasi tecnica militare. Il vero problema è che se Gaza viene lasciata a se stessa, diventerà il nuovo simbolo del disordine e sarà quasi impossibile evitare un conflitto allargato e poi ricostruire un mondo di coesistenza pacifica.

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