Gli israeliani ammassano le truppe ai confini di Gaza, ma l’attacco a Rafah probabilmente attenderà almeno qualche giorno. Martedì è previsto l’arrivo in Israele del segretario di Stato USA, Anthony Blinken, e difficilmente prima di allora l’IDF si muoverà. È facile quindi che l’esercito resti in attesa del via libera all’operazione da parte del Governo Netanyahu. D’altra parte, c’è sempre da risolvere il problema degli sfollati che occupano l’area dove dovrebbe avvenire l’attacco. Secondo alcune fonti, 200mila se ne sarebbero andati negli ultimi giorni; ne resterebbero, però, oltre un milione. Spostare una massa di persone come questa non è cosa facile e neanche è chiaro quali possano essere i piani di evacuazione per mettere in sicurezza i civili.



All’attacco a Rafah, spiega Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri in congedo con al suo attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, non c’è alternativa, se non quella che Hamas si arrenda e che i battaglioni che sarebbero asserragliati nella città ai confini dell’Egitto si consegnino a Israele. Anche la proposta di smantellare l’ala militare dell’organizzazione palestinese in cambio della formazione di uno Stato palestinese non convince Tel Aviv, che vuole essere sicura di neutralizzare Hamas, ben sapendo, tuttavia, che questo obiettivo non potrà mai essere perseguito interamente e che gli attacchi a Gaza, a meno che non si trovi una soluzione definitiva alla questione palestinese, avranno come conseguenza almeno una recrudescenza degli attentati terroristici.



Generale, l’attacco a Rafah è veramente così imminente?

Credo che Israele aspetterà ancora. Netanyahu lo vorrebbe per riconquistare popolarità, ma ci sono troppi profughi: l’IDF rischierebbe di fare un massacro. È stato raggiunto un livello di perdite civili davvero poco giustificabili e in questo momento a Rafah ci sono oltre un milione di persone che resterebbero sicuramente coinvolte. I soldati dovrebbero intervenire casa per casa e una gran parte della popolazione non potrebbe rimanerne fuori.

Martedì è annunciata una visita di Blinken in Israele in cui si dovrebbe parlare anche dell’eventuale attacco. Possibile che all’IDF venga detto di muoversi prima?



Non credo che Blinken accetterebbe di andare a discutere mentre sono in piena operazione. Credo che sarà dopo martedì. Israele aspetterà qualche giorno per vedere se si riesce a sistemare i profughi da qualche parte. Questo, però, se ci sarà la collaborazione di altri Stati come l’Egitto e la Giordania, che devono mettersi in testa di aiutare persone che sono musulmane come loro, anche in virtù delle responsabilità storiche che hanno, in parte, in relazione alla situazione che si è creata nell’area.

Israele non interverrà se prima non saranno sistemati gli sfollati?

La soluzione ottimale è quella, ma Israele non potrebbe mai farcela da solo.

Gli egiziani, il cui capo dell’intelligence Abbas Kamel sarebbe in Israele per discutere proprio di questo, restano contrari, però, all’attacco a Rafah. Come si concilia questa posizione con le intenzioni israeliane?

Certo che sono contrari, ma è anche vero che un conto è l’attacco, un conto la vita di questa gente. Qui si parla di profughi che sicuramente saranno coinvolti nelle operazioni militari. Dobbiamo lasciarli morire? Se non si metteranno d’accordo, gli israeliani andranno avanti con i loro piani.

Gli egiziani ne potranno accogliere al massimo una parte, resterebbe ancora un milione di persone da sistemare. Si parla di spostamenti a Khan Yunis, ad Al Muwasi, di tendopoli da realizzare. Gli sfollati di Gaza andranno a finire lì?

Ci saranno esodi di massa. Se anche andranno in Egitto o in Giordania ci sarà un flusso di persone molte delle quali si muoveranno anche a piedi. Nel caso della Giordania dovranno approntare anche camion o mezzi per trasportarli. Un milione e mezzo di persone se non si accetta anche di mandarli lontano, dove si mettono? Ci dovrebbero essere strutture per permettere loro di mangiare e dormire. Anche per questo passerà diverso tempo prima di far partire l’azione di terra.

C’è un modo per evitare che Israele proceda a questo attacco?

La consegna di tutti i terroristi di Hamas che si trovano là: che alzino le braccia e si arrendano. Il fatto stesso di considerare un esodo dei palestinesi non è poca cosa per Israele, significa accettare che una buona fetta dei miliziani di Hamas possa mimetizzarsi nella popolazione per andarsene. Insomma potrebbero non preoccuparsi degli effetti dell’operazione militare sui civili, invece lo fanno.

Finora non hanno fatto così?

Certo. E quindi nessuno esclude che possano continuare a farlo. Per questo dico che se si arriva a un accordo per lo spostamento di questa gente, bene farebbero egiziani e giordani a dire sì. Israele andrebbe avanti comunque per la sua strada.

La vicenda di Rafah si intreccia con la trattativa per la liberazione degli ostaggi e per il cessate il fuoco. Hamas è arrivata a offrire lo smantellamento della sua ala militare in cambio della realizzazione dello Stato palestinese. A Israele basterebbe per mettere fine alla guerra?

Hamas dice tante cose e non ne fa neanche una. Israele non si accontenterà di sciogliere l’ala militare, perché come la sciogli la può anche ricostituire. Non basterebbe neanche che consegnassero le armi, perché anche queste si potrebbero riavere per altre vie. Credo che Israele voglia i combattenti, per lo meno i capi e i sottocapi. Per l’ala dura di Israele l’alternativa è “o si arrendono o li ammazziamo”. Poi bisogna vedere come andranno le cose. Non riusciranno mai a eliminare completamente Hamas, ci saranno comunque sopravvissuti che continueranno con la guerriglia o gli attentati. Israele, però, li vuole ridotto all’osso. E allora o li consegna l’ala politica di Hamas o se li va a prendere da solo.

C’è la possibilità di liberare effettivamente gli ostaggi che sono in mano ad Hamas, rimane una speranza per questo?

Hamas dovrebbe consegnare, se ancora li ha vivi, quei 40 ostaggi di cui potrebbe disporre. In base ai filmati visti in tv non credo che li abbia: quando fa vedere un soldato o un giovane catturato che critica Netanyahu, piuttosto che una ragazza che è nelle loro mani, questo è un segnale che non ha tutti questi ostaggi. Se li avesse farebbe un filmato su di loro, incappucciati, minacciandoli. Invece non li hanno o ne hanno pochi.

L’Egitto propone la consegna di 33 ostaggi, che sarebbero gli unici ancora vivi. Qualche fonte parla ancora di 100, un numero credibile?

Una cifra esagerata. Spero vivamente che Hamas ne abbia ancora 40, anche se non credo. Altrimenti ne avrebbe già liberati alcuni. Offrendone magari 10 per 20 giorni di tregua, che possono essere utilissimi per scappare, fortificarsi o per dare spazio alla diplomazia.

(Paolo Rossetti)

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