Israele tira dritto sugli ostaggi. Tutto sembrava pronto per la liberazione di 50 di loro, confermata addirittura dal presidente americano Joe Biden, ma alla fine non se ne è fatto niente. Almeno finora. Il fatto è, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24Ore e consigliere scientifico dell’Ispi, che per la prima volta la priorità degli israeliani è un’altra: neutralizzare Hamas attraverso la loro campagna militare.
Gli ostaggi, insomma, al di là delle notizie sulle trattative per la loro liberazione, passano in secondo piano: concedere ad Hamas una tregua di cinque giorni in questo momento diventa controproducente. Israele non ascolta neanche gli americani, va avanti secondo gli obiettivi stabiliti, tanto più che i rapporti di Biden con Netanyahu sono pessimi: le decisioni del premier israeliano spesso e volentieri sono state contrarie agli interessi Usa nel Medio Oriente.
Intanto le forze di Tel Aviv hanno preso di mira un campo profughi in Cisgiordania, giustificando l’intervento come azione per stanare dei terroristi, ma hano anche iniziato a bombardare Khan Yunis, nel Sud della Striscia: il problema degli sfollati diventa sempre più impellente. Nessuno li vuole e non c’è una soluzione per la loro sistemazione.
Come mai la liberazione di 50 ostaggi, che sembrava talmente imminente da portare anche Biden a esporsi annunciando una possibile soluzione favorevole, ora è tornata in forse?
Per gli israeliani, anche per il tipo di governo che c’è, di estrema destra e nazionalista, per la prima volta gli ostaggi non sono una priorità. Lo ha detto anche qualche esponente dell’esecutivo, come il ministro Amihai Eliyahu, sospeso da Netanyahu per aver evocato la possibilità di una bomba atomica su Gaza. È un po’ il segno del comune sentire in Israele in questo momento: una buona parte dell’opinione pubblica vuole far fuori Hamas a tutti i costi. La vera ragione dell’attacco di Hamas, d’altra parte, oltre che costringere i Paesi arabi a schierarsi dalla sua parte era proprio quella di prendere ostaggi per liberare prigionieri ora nelle carceri. Certamente ora gli ostaggi non li regala, anche perché è con l’acqua alla gola.
Perché allora si è arrivati a dare quasi per fatto l’accordo per la liberazione, a cui dava credito, appunto, anche il presidente americano? Era solo un modo per tenere buone le famiglie degli ostaggi che marciano per protestare sotto casa di Netanyahu?
Anche il generale Gantz, ora entrato nel governo di unità nazionale, aveva detto qualcosa di positivo sugli ostaggi. C’è da tenere conto, comunque, che Bibi Netanyahu è l’avversario numero uno in Medio Oriente di Joe Biden: non credo che Hamas, Hezbollah libanese e Iran messi insieme stiano procurando danni agli interessi americani più di quanto abbia fatto il premier israeliano. A partire dalle pressioni che fece su Trump per ritirarsi dall’accordo sul nucleare iraniano. Biden è sicuramente un amico di Israele ma è storicamente un grande nemico di Netanyahu: si ricorda di quando, ai tempi in cui era vicepresidente di Obama, il primo ministro di Israele veniva accolto trionfalmente in Senato ma parlava male del governo Usa.
Di fatto, comunque, gli israeliani non sono disposti a trattare la liberazione degli ostaggi in cambio di giorni di tregua?
Cinque giorni di tregua in una situazione come questa consentirebbero ad Hamas di riorganizzarsi. In questo momento, in cui gli israeliani sono vicini a una vittoria, anche se non sappiamo che vittoria sarà, concedere il cessate il fuoco diventa pericoloso dal punto di vista militare.
Come mai allora i media hanno rilanciato a più riprese la notizia della possibilità di un accordo?
Ci sono state delle fughe di notizie, con la stampa internazionale che appena si parla di ostaggi spara ipotesi che forse non sono neanche state prese in considerazione. Tutti aspetti da considerare, ma resta il fatto che per Israele questo tema non è una priorità. Nel 2011 il caporale Gilad Shalit, rapito da un commando nel 2006, fu liberato in cambio di oltre mille prigionieri politici palestinesi, la gran parte dei quali gli israeliani hanno ritrovato a Gaza a organizzare l’assalto del 7 ottobre. Questa volta la situazione è cambiata: Netanyahu sa che fino a che dura la guerra lui resterà al potere. Il suo futuro politico è segnato, ma ha tutto l’interesse a cercare una vittoria totale che lo possa salvare dalla cacciata dal governo.
Qual è invece la politica di Hamas sugli ostaggi?
È indicativo il fatto che Hamas non liberi neanche gli operai thailandesi che lavoravano nelle serre dei kibbutz, in sostanza degli immigrati. Non considerano l’ostaggio bambino, quello con il doppio passaporto o di Paesi che non c’entrano nulla con il conflitto: significa che Hamas picchia duro sugli ostaggi, probabilmente è l’ultimo scudo, l’ultima arma efficace che hanno.
L’Idf ha attaccato anche un campo profughi vicino a Nablus, in Cisgiordania, uccidendo cinque palestinesi. La motivazione è che si trattava di terroristi che stavano preparando attacchi anche ai civili. Dobbiamo aspettarci azioni più intense nella West Bank? Israele deve guardarsi pure dal pericolo degli attentati?
Per Israele sono terroristi tutti: l’ambasciatore israeliano all’Onu si è presentato con delle pietre dicendo che da ora in poi anche i bambini che le lanciano sono dei terroristi. Io fatico a chiamarli tutti terroristi, perché è una lotta contro l’occupazione: gli israeliani prima che nascesse lo Stato di Israele usavano l’arma del terrorismo, contro gli inglesi ma anche contro donne e bambini arabi, come facevano gli arabi nei loro confronti. Quando gli israeliani dicono queste cose non ci sono mai riscontri precisi: indicano un covo di terroristi, poi vai a vedere e trovi dei ragazzi che si rivoltano contro l’occupante, ovvio che cercano di uccidere gli israeliani, purtroppo fa parte della brutalità del conflitto.
Gli israeliani alzeranno il livello degli interventi in Cisgiordania?
La loro attenzione prima dell’attacco di Hamas era focalizzata da tempo sulla West Bank. Si sono fatti trovare impreparati a Gaza perché gran parte delle forze armate erano spostate lì. Ogni notte, soprattutto a Jenin, entrano, escono, uccidono, mettono a segno arresti preventivi: sono migliaia le persone in carcere senza sapere qual è il motivo, senza poter parlare con un avvocato, come in un Paese illiberale. Per questo governo di destra che vuole il Grande Israele la Cisgiordania è l’obiettivo: è lì che vogliono annettere territori. Pensano di trasformare le città palestinesi in isole nel territorio israeliano, fino a che si riuscirà a fare una pulizia etnica portando i palestinesi alla frontiera giordana.
Von der Leyen incontra Al Sisi: i Paesi arabi, soprattutto, Egitto e Giordania, che ruolo stanno giocando?
Probabilmente la Von der Leyen vuole convincere Al Sisi ad accettare i profughi, come intervento umanitario. Israele ha detto agli abitanti del Sud della Striscia di evacuare; infatti, hanno cominciato a bombardare a Khan Yunis. Ma quella non è l’Australia: dove vanno? L’obiettivo è che Al Sisi apra le frontiere e faccia entrare un milione di palestinesi mettendoli in un campo profughi con le tende, come durante la Nakba. Al Sisi, però, conosce gli israeliani, il mondo arabo è già pieno di profughi palestinesi: oltre il 70% della popolazione della Giordania è palestinese. Se accetta, salva la vita a un milione di sfollati, ma poi il problema è farli rientrare a Gaza. Accogliere questa gente e impedire a Israele di proseguire nelle sue politiche liberticide è un rebus. Alla frontiera con l’Egitto, poi, non c’è niente: è deserto, per ospitarli lì bisognerebbe realizzare tutte le strutture necessarie. Israele ha superato il limite di comprensione per quello che è successo il 7 ottobre.
Nessuno riesce a far cambiare idea a Israele, neanche gli americani. Washington, però, sembra che lasci fare a Tel Aviv quello che vuole: è così?
Sì e no. Di fatto la risposta è sì, e questo sta compromettendo gli interessi americani in Medio Oriente. Al Dipartimento di Stato Usa gli ambasciatori dell’area si sono resi protagonisti di una piccola rivolta contro questa politica. In realtà l’amministrazione americana sta cercando di spingere come non aveva mai fatto prima per cercare di fermare Israele che però, quando entra nel mood bellico che riguarda la sua sicurezza, non ascolta nessuno: fissa un obiettivo e vuole raggiungerlo, stavolta persino a scapito di oltre 200 ostaggi israeliani.
(Paolo Rossetti)
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