Gli Houthi hanno passato il segno. Nelle ultime ore avrebbero colpito anche una nave mercantile Usa. Ma bloccando il Mar Rosso, in realtà, danneggiano pure l’economia del loro principale sostenitore: l’Iran. E il messaggio che Biden ha inviato a Teheran sarebbe proprio questo: bisogna spiegare ai ribelli yemeniti che è il caso di smetterla con gli attacchi alle navi, che danneggiano l’Occidente, ma anche l’economia mondiale, Cina compresa. Nessuno vuole un allargamento del conflitto, neanche Hezbollah: Nasrallah, il suo capo, ha mandato messaggi chiari in questa direzione. Il pericolo di un’escalation, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24Ore e consigliere scientifico dell’Ispi, viene da Netanyahu: dopo il 7 ottobre gli Usa hanno stoppato un piano di Israele per una pesante operazione militare preventiva contro Iran e Libano. Fino a che si combatterà a Gaza il rischio di un’escalation rimarrà.
Oltre agli attacchi alle basi Houthi, Biden dice di aver inviato un messaggio all’Iran: si va verso lo scontro?
Iran e Usa non hanno rapporti diplomatici, ma c’è tra loro un canale di comunicazione. Teheran ha tutto l’interesse a non allargare il conflitto: ha già i suoi proxies (Hamas, Houthi, Hezbollah) che stanno facendo il lavoro sporco. Tra le parti è ritenuto accettabile, come succede fra Hezbollah e Israele, un livello minimo di violenza per cui tutti possano dire di fare la loro parte nella guerra, ma senza che si superi quella linea rossa oltre la quale scoppierebbe un conflitto che, alla fine, nessuno vuole. Nessuno tranne, forse, Netanyahu.
Perché nessuno lo vuole?
Tutti – iraniani, americani, sauditi – sanno che le conseguenze sarebbero devastanti. La disumanità del bombardamento israeliano su Gaza in qualche modo è l’esempio di quello che potrebbe accadere anche a Teheran, nel Sud del Libano e in altre parti del Medio Oriente. Gli Houthi, però, sono andati oltre la linea rossa, perché stanno bloccando una buona parte dei commerci mondiali. Il canale di Suez ha perso molto traffico e le navi sono costrette a fare 5mila miglia nautiche in più, con costi triplicati.
Gli Houthi sono “sfuggiti di mano” all’Iran o sono lo strumento usato da Teheran per tendere una trappola agli americani?
L’uno e l’altro. Gli iraniani li armano. La metà dello Yemen che gli Houthi controllano, d’altra parte, è un Paese in cui la gente ha veramente poco. Il problema è, appunto, che stanno creando grosse difficoltà al traffico internazionale: la Cina all’Onu si è astenuta sulla condanna del loro operato, ma la gran parte delle merci che da Shanghai vanno a Genova passano dal Mar Rosso e da Suez. Dietro tutto c’è una regia iraniana nel senso che senza Teheran gli Houthi non farebbero niente. I messaggi diplomatici fra Usa e Iran, però, sono proprio dedicati a questo: un conto è mandare razzi o droni verso Israele, un conto è bloccare il canale fondamentale di collegamento fra Europa e Asia.
Il messaggio di Biden all’Iran, quindi, è “Tenete calmi i vostri amici Houthi”?
Penso di sì. Questo blocco, del resto, costa anche all’Iran. Poi nel Golfo, nello stretto di Hormuz, gli iraniani hanno sequestrato una nave americana, ma è un’operazione che non ha a che vedere con Gaza: ogni volta che americani e inglesi sequestrano una nave iraniana nel Mediterraneo, perché ci sono le sanzioni, l’Iran ne sequestra una nel Golfo. Anche Teheran, però, manda le sue navi mercantili nel Mar Rosso. E la sua economia, in questo momento, non va neanche tanto bene.
Hezbollah ha contenuto la sua reazione dopo l’uccisione del numero due di Hamas Al Arouri a Beirut e Nasrallah, il suo capo, ha chiesto di fermare la guerra a Gaza e di cominciare a dialogare. Anche in Libano non c’è tanta voglia di allargare il conflitto?
È tutto molto ambiguo: Putin ha avuto la faccia di bronzo di telefonare a Netanyahu e di rimproverarlo per i bombardamenti sui civili, allo stesso tempo gli israeliani hanno messo a segno diverse incursioni aeree anche sui centri dove gli iraniani assemblano i droni che vendono ai russi. Mosca se la prende con Israele ma poi gli permette di bombardare i suoi alleati. La regione è caratterizzata da una linea di instabilità: per evitare i conflitti si gioca molto sull’ambiguità. Nasrallah da mesi dice che è con i palestinesi, ma anche che quella di Hamas non è la guerra di Hezbollah: per questo i bombardamenti sul Nord di Israele sostanzialmente rientrano nelle operazioni “consentite”, al di qua della linea rossa oltre la quale non bisogna andare. Certo, la situazione rimane comunque tesa, basta un incidente con 10, 20 morti e non si sa quello che può succedere.
Quindi quella di Nasrallah non è una vera offerta di pace?
È un messaggio per dire: “Guardate che noi continuiamo a rispettare quell’accordo non scritto di belligeranza a bassa intensità”. La minaccia principale, in realtà, viene da Israele: Netanyahu per la sua sopravvivenza politica ha interesse a far durare il conflitto. Gli americani dopo il 7 ottobre hanno fermato un’operazione israeliana: volevano attaccare pesantemente Iran e Libano come prevenzione rispetto ad altri attacchi. La volontà di una parte di Israele di allargare il conflitto c’è, con la presunzione di approfittare della guerra a Gaza per mettere in sicurezza tutta la regione.
La Siria continua a essere teatro di una serie di azioni militari. Anche i turchi hanno bombardato i curdi come ritorsione a un attacco in cui sono morti soldati di Ankara. Tutti elementi che rendono più concreto il rischio di escalation anche qui?
La Siria è uno Stato fallito, Assad esiste grazie a Russia e Iran, che però non vogliono riconquistare tutto il Paese. Il regime si è ricostituito in quella che chiamano la Siria che conta, cioè lo sbocco sul mare e le grandi città. I bombardamenti dei turchi nel Nord del Paese o degli americani contro l’Isis sono un capitolo indipendente da quello che la guerra a Gaza ha provocato.
L’escalation, insomma, a conti fatti, dipende da quello che vogliono fare gli israeliani?
Sì. La volontà di continuare la guerra nonostante gli americani dimostra che Netanyahu ha la sua agenda e va avanti su quella. Il problema fondamentale per evitare l’allargamento del conflitto è la fine della guerra di Gaza. Anche Hamas la vorrebbe: mentre gli israeliani devono stravincere nella Striscia, all’organizzazione palestinese basterebbe sopravvivere. Tutti (americani, europei, sauditi) vorrebbero che Israele eliminasse fisicamente Hamas, ma sarà difficile. E finché Hamas è a Gaza non si può parlare neanche di uno Stato palestinese.
(Paolo Rossetti)
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