Le incertezze germinate fin dall’attacco di Hamas del 7 ottobre scorso non si sono diradate, anzi: la più che prevedibile reazione israeliana ha rafforzato i dubbi e gli interrogativi che minacciano il futuro di tutto il quadrante del vicino Oriente. Con buona probabilità, e a saldi costanti di forze in campo (ossia senza il coinvolgimento diretto di altre potenze, se non quello dell’Iran, che finora procede da remoto teleguidando le sue forze proxy), il destino degli jiadisti di Hamas appare destinato a rintuzzarsi in sacche di guerriglia sempre più circoscritte, in una resistenza carsica che lascerà sicuramente un bilancio di migliaia di morti e di emergenze umanitarie indicibili.



Essendo l’obiettivo dei terroristi non il bene del territorio e delle sue genti, ma una spinta catalizzatrice per tutto il mondo islamico più intransigente a una guerra totale per la distruzione dello Stato ebraico, la verifica dei suoi successi sarà da basare proprio sui contagi che saprà provocare nel sud del Libano, tra gli Hezbollah, nella West Bank di Fatah, nel più lontano Yemen, tra gli sciiti Huthi, ma forse anche in Giordania o in Egitto o in qualsiasi altro Paese islamico. Dal punto di vista israeliano, invece, le strategie sembrano ancora non ben definite nello scorporo della reazione vendicativa dalla strategia politica complessiva dell’operazione-Gaza. Quando Hamas sarà costretto ad una qualche forma di resa o esilio, quale sarà il destino della Striscia?



Davvero è ipotizzabile una restituzione all’Autorità palestinese, l’ANP, che venne destituita con un sanguinoso colpo di mano fratricida del 2007 proprio da Hamas, legittimato poco dopo da una dubbiosa tornata elettorale? Quell’ANP guidata da un Abu Mazen visibilmente provato e parzialmente delegittimato dall’opinione pubblica, che gli rimprovera la estesa corruzione della sua nomenclatura ma soprattutto di aver assistito inerte alla proliferazione degli insediamenti dei coloni ebrei in buona parte della Cisgiordania. Se questo fosse il disegno di Netanyahu, gli si potrebbe imputare (oltre all’impreparazione di intelligence e delle forze armate di fronte agli attacchi del 7 ottobre, nonché il ritiro delle protezioni armate dai kibbutz, compresi quelli più vicini ai confini) anche la stessa indifferenza sulle manovre espansive dei suoi coloni, accettando di fatto il tramonto della leadership di Mazen e dell’ANP, e motivando il radicalismo enfatizzato da Hamas.



Distrazioni pericolose, che hanno minato la coesistenza nella West Bank: difficile pensare che l’ANP possa di colpo ritrovare dignità e autorevolezza per riprendere il polso della situazione e anche estendere la sua giurisdizione su Gaza. E anche se nominalmente si potrà arrivare a un simile aggiustamento, saranno sempre attive le spinte di Iran & co. per continuare una lotta armata, perché “ogni morto è un martire, e ogni parente di un morto diventa un combattente”, come si ripete nel mondo islamista. Le previsioni, ad oggi, sono comunque azzardi, visto il procedere asimmetrico dei combattimenti e la magmatica reazione politica internazionale, tra riflussi antisemiti e manicheismi culturali che etichettano il giusto e il non giusto senza considerare tutto il grigio mediorientale.

Nel frattempo, si spara. Le operazioni israeliane a Gaza procedono “lentamente e meticolosamente”, come ha detto Jonathan Conricus, portavoce delle IDF, le forze di difesa israeliane (ne dà conto ISPI, l’Istituto per gli studi di politica internazionale). Conricus riferisce che sul campo sono dispiegati carri armati, mezzi corazzati, bulldozer e unità della fanteria e del genio militare. Queste ultime, fa sapere l’IDF, hanno la funzione di neutralizzare le “trappole” tipiche della guerriglia urbana e anche di occuparsi della più volte citata rete di tunnel – lunga almeno 500 chilometri – sotto il livello del suolo. L’IDF (riporta Analisi Difesa) continuano a compiere incursioni in profondità all’interno della Striscia: il capo di stato maggiore, generale Herzi Halevi, sta valutando la possibilità di continuare l’operazione di terra e penetrare in profondità.

A questa fase, con il supporto aereo dei caccia della Heyl Ha’Avir, stanno prendendo parte i reparti di fanteria della Tsahal, i mezzi corazzati, il corpo del Genio, le forze speciali, inclusa le unità di ricognizione Sayret Matkal, e i reparti speciali della Marina, Shayetet 13. Sul fronte settentrionale, continuano gli attacchi contro le comunità israeliane nel nord di Israele, con tentativi di lancio di razzi e missili anticarro contro le posizioni israeliane. Lo scorso 28 ottobre, un UAV delle IDF ha preso di mira una cellula di Hezbollah mentre tentava di lanciare raffiche di missili anticarro dal Libano verso il nord di Israele, vicino al Kibbutz Hanita. I miliziani hanno inoltre aperto il fuoco contro una postazione dell’esercito israeliano vicino ad Avivim e al Kibbutz Misgav Am.

Sul fronte meridionale, invece, ancora una volta (non è la prima volta che viene tracciato), un aereo sconosciuto è stato tracciato da ItaMilRadar mentre orbitava sopra la parte meridionale di Gaza. La velocità e l’altitudine operativa farebbero pensare che si trattasse di un drone, ma non ci sono conferme. Il codice esadecimale (quello usato nei trasponder) dell’aeromobile è D23001, ma non risulta assegnato a nessun aeromobile. Tra le ipotesi che viaggiano nella comunità OSINT (quella dell’open source) quella più riportata è che si tratti di un MQ-9 Reaper americano decollato da Sigonella.

L’Italia, però, non offre solo ospitalità alle basi statunitensi, ma partecipa attivamente al pattugliamento del Mediterraneo orientale. Il pattugliatore della Marina militare italiana ITS Paolo Thaon di Revel (P 430) è già salpato verso quella destinazione, così come un’altra nave di classe San Giorgio, che potrebbe essere utilizzata per fornire assistenza umanitaria ai civili, ma potrebbe anche servire come base avanzata per il rimpatrio dei 1.500 soldati italiani attualmente in Libano nell’ambito della missione ONU. Il dispiegamento italiano vede anche impegnate la fregata ITS Virginio Fasan (F 591), il sommergibile ITS Pietro Venuti (S 528) e la fregata Carlo Bergamini (F 590), operante nell’ambito dell’SMNG2 della NATO.

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